Diecimila chilometri di distanza separano Vallada Agordina da Quito, capitale dell’Ecuador dove da un mese, e per tutta l’estate, presta il suo lavoro di volontariato Sonia Andrich. Ventisei anni, di Vallada, una laurea in Lingue per la Comunicazione Turistica e Commerciale, Sonia conosce molto bene lo spagnolo e ha deciso di fare questa esperienza di volontariato tramite il Centro Missionario di Belluno in contatto con il CENIT (Centro Integral de la Niñez y de la Adolescencia), una struttura riservata a bambini e ragazzi di diverse età fondata una trentina di anni fa dalla Congregazione delle Suore del Buon Pastore per contrastare l’aumento del lavoro minorile, promuovere i diritti dell’infanzia e l’uguaglianza di genere, creare programmi educativi e dare la possibilità ai bambini di ricevere un’istruzione scolastica adeguata senza dover andare a lavorare precocemente. Quito, a 2800 metri sul livello del mare, è la seconda tra le capitali più alte al mondo. Vive le contraddizioni di tutte le grandi città e la sua popolazione di oltre due milioni di abitanti, vede la convivenza di etnie diverse. Sono soprattutto i quartieri a sud, quelli popolari, in condizioni disagiate e richiedono l’aiuto dei volontari. In cosa consiste il tuo lavoro? «Nel CEA (Centro de Apoyo Escolar), un dopo-scuola dove mi occupo di affiancare i bambini di diverse età nel fare i compiti. Non tutti sanno parlare bene lo spagnolo. Una volta finiti quelli si passa al momento della ricreazione, quindi al gioco e al pranzo che quasi sempre è l’unico pasto che i ricevono durante tutta la giornata, a causa della povertà della famiglia impossibilitata ad acquistare alimenti per tutti. Il pomeriggio arriva un altro gruppo e si procede con la stessa routine. Ora che le scuole sono finite, si organizzano dei campi estivi perché possano continuare a venire a CENIT e non debbano andare a lavorare.» Dal racconto di Sonia risulta che tanti sono gli ambulanti a recarsi nei vari mercati per vendere i propri prodotti (frutta, verdura, carne, pesce, abbigliamento…). Alcuni di loro appartengono alle comunità indigene dell’Amazzonia, della minoranza linguistica Kichwa. «Al sud la gente vive con poco. Le case sono semplici, molte sono diroccate, le strade a tratti non sono ben asfaltate e abbastanza sporche. Spostandosi verso nord la situazione sociale ed economica migliora nettamente, maggiori sono i servizi e le opportunità lavorative e Quito sembra quasi una città europea». Quali sono le criticità sociali ed economiche? «Ce ne sono molte. La discriminazione da parte della gente e del Governo verso la popolazione, le difficoltà legate alle differenze linguistiche ed etniche, la violenza che sta aumentando in tutti i quartieri. Per di più ci sono problemi di alimentazione, di educazione, di lavoro minorile, di sfruttamento del territorio. Alla sanità mancano i fondi e spesso sono gli stessi pazienti a dover comprare gli strumenti per essere curati negli ospedali. Da poco si è concluso uno sciopero nazionale, durato diciotto giorni e voluto dalle comunità indigene, che ha completamente paralizzato il Paese con strade e scuole chiuse. Chiedono al Governo la diminuzione del costo dei carburanti, una regolazione dei prezzi delle materie prime, un miglioramento dei servizi quali educazione, sanità, sicurezza, impedire che si estendano i territori da destinare all’estrazione del petrolio e dei minerali, tra cui l’oro, promuovere un’educazione interculturale bilingue.» Come sempre esiste il lato buono della medaglia. Quali sono gli aspetti positivi che ritieni di evidenziare? «La disponibilità e l’accoglienza delle persone, pronte ad aiutare e a raccontare la propria storia. Amano il proprio Paese anche se sono consapevoli dell’esistenza di problemi e vogliono cambiare in meglio. Qui al CEA alcune si dedicano con cura ai bambini con l’apporto di psicologi, insegnanti, assistenti sociali, medici che si impegnano per migliorare le condizioni di vita dei bambini e ragazzi e far rispettare i loro diritti. Tra questi artisti come Luis Lopez Luzuriaga che manifesta in modo artistico la sua lotta sociale e culturale trasformando alcuni oggetti della città in cieli azzurri e nuvole.» Al momento, Sonia è l’unica volontaria straniera. In altri periodi collaborano altri volontari soprattutto dagli Stati Uniti e dall’Europa. Ma fino a poche settimane fa, a Quito, c’era pure un altro agordino, Davide Cassisi, impegnato da ottobre a giugno in un progetto con la Caritas (seguirà nei prossimi giorni il racconto della sua esperienza). Viene spontaneo chiedere se si può sostenere economicamente questa struttura. «Si possono fare donazioni a distanza al CENIT per permettere la realizzazione dei progetti promossi dal centro e far fronte alle spese quotidiane. È possibile, inoltre, fare una mano alle famiglie a pagare gli studi ai propri figli, come se fosse una sorta di adozione a distanza. Ci si può rivolgere direttamente all’Associazione Insieme si può (www.365giorni.org) che da anni è in contatto con il CENIT o farlo dalla pagina web del centro “www.cenitecuador.org”. Altre informazioni sono presenti sulla pagina Facebook “facebook.com/cenitecuador”.»
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