Aspettavo da tempo le seguenti parole di Papa Francesco che puntualmente sono arrivate nella mattinata di mercoledì 16 dicembre: «Quest’anno ci attendono restrizioni e disagi; ma pensiamo al Natale della Vergine Maria e di San Giuseppe: non furono rose e fiori! Quante difficoltà hanno avuto! Quante preoccupazioni! Eppure la fede, la speranza e l’amore li hanno guidati e sostenuti. Che sia così anche per noi! […] Anche ci aiuti questa difficoltà a purificare un po’ il modo di vivere il Natale, di festeggiare, uscendo dal consumismo, che sia più religioso, più autentico, più vero». Sono parole rivolte sia a chi ha sempre festeggiato il Natale secondo la spiritualità del presepe, ma di più a chi da qualche decennio l’ha accantonata per farne una festa pagana, ridondante di luci, suoni e cibi superflui. Agli orecchi dei primi le parole del Papa hanno risuonato come musica per le loro orecchie, ai secondi hanno dato fastidio e sono state subito ignorate come ignorata in loro è la gravità della pandemia. Con un po’ di sforzo di volontà in corpo, però, dovremmo accettare l’invito a riscoprire il “vero” Natale nell’intimità del focolare domestico dove regnerà purtroppo la limitazione dei rapporti interpersonali durante le feste imminenti. Nella vita, talvolta, certe occasioni si trasformano da disagio in opportunità. E allora quale potrà essere una bella opportunità per il prossimo Natale? Riguarda proprio il presepe. Quando ero bambino con mamma e papà facevamo il giro del centro storico cittadino di Belluno dove parecchie famiglie o istituzioni esponevano il loro presepe costruito artigianalmente con fantasia, buon gusto e tanto calore umano. Non era una competizione, né una rassegna a premi, né tantomeno uno sfoggio di presuntuosa abilità, ma solo la gioia di misurarsi con se stessi per costruire un presepe più bello e più grande dell’anno precedente: da quello allestito all’entrata dell’ospedale civile di via Loreto a quello dei Frati Cappuccini a Mussoi e a tanti altri sistemati in atri e androni di abitazioni civili nelle vie e nelle piazze cittadine. Non mancavano pure gli effetti speciali di movimenti e suoni impensabili per allora. Quei presepi donavano a noi bambini una rappresentazione magica del Natale, ovvero interpretavano al meglio le parole odierne di Papa Francesco. È troppo sperare di averne fatto memoria in molti? Quest’anno, anche se lo volessimo, non potremo fare altrettanto perché non avremo libertà di movimento. Però possiamo fare molto di più. Un bel presepe casalingo per la gioia dei più piccoli – spiegandoglielo bene -, un bell’albero pieno di luci e colori e una sobria luminaria intermittente sul terrazzo di casa. Il tutto fatto ad uso e consumo di poche persone per recuperare l’intimità perduta. In fondo nel primo presepe vivente dell’umanità erano in pochi pure loro: il Bambino, Maria, Giuseppe, il bue e l’asino, ma degli ultimi due si dubita. Poi arrivarono i pastori che, però, stettero in silenzio adorante del piccolo neonato sullo sfondo dei canti angelici. Niente chiasso e niente luci sgargianti! Già che ci siamo recuperiamo un po’ di sobrietà anche nei doni e, se ci travestiamo da novelli Re Magi, li trasformiamo in prodotti a chilometro zero! Quest’anno va così. Ma saremo davvero tutti capaci di cambiare registro rifiutando il superfluo in favore di un Natale più “casalingo”? Un’ultima cosa. Cantiamo l’italianissima “Tu scendi dalle stelle” di san Alfonso Maria de’ Liguori, ma ricordiamoci che “Adeste fideles” deriva da un’antica ballata irlandese, “Jingle bells” è una carola inglese, “Bianco Natale” è di autore bielorusso naturalizzato USA. Tranquilli: così la globalizzazione è salva…!