DI RENATO BONA
E’ intitolato “Dalla realtà al simbolo” il settimo ed ultimo capitolo di “Racconti bellunesi” il libro del sospirolese di San Zenon Dino De Cian sulla cultura contadina e artigiana della Val del Piave, tra Belluno e Feltre, in fotografia, edito nell’ormai lontano 1982 con la tipografia Piave dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, con presentazione di Paolo Piccolo ed introduzione del prof. don Gigetto De Bortoli. Dopo “Lavori stagionali”, “Personaggi”, “Strumenti e persone al lavoro”, “Lavoro per la famiglia e la vita”, “Lavori speciali”; “Animali, cose e scene nella natura bellunese” tocca dunque soffermarci su quest’ultima serie di immagini che Dino De Cian, che fa parte del Circolo fotografico bellunese ci propone, sempre con riferimento alla realtà del mondo dei contadini e degli artigiani tradizionali che per lui costituisce oggetto di studio continuo, ritenendo come ha sottolineato Piccolo, che questa terra “possa riconquistare la propria individualità riscoprendo e potenziando al massimo la propria anima montanara, contadina, artigiana. E per fortuna – per dirla con Gigetto De Bortoli – il Bellunese, quella meravigliosa conca che si estende dai piedi della Vette Feltrine ai declivi delle Prealpi della Sinistra Piave, oggetto di questo studio, non ha ancora tagliato i ponti con la civiltà materiale dei secoli trascorsi”. Merito di Dino De Cian con le sue ottime immagini e di Paolo Piccolo con le sue efficaci didascalie, presentare a chi legge e osserva nel libro “la vitalità attuale di questa civiltà che è sull’orlo della scomparsa. Non una civiltà decadente, scoraggiata di se stessa. Ancora De Bortoli: “Accanitamente insaziabili di umanità, l’esperto delle foto e l’esperto della solitudine di montagne, valli e animali, sono andati a scovare le persone che vivono ancora pienamente nel ritmo del tempo antico, ancora perfettamente integrate, tanto da parer ignare della truculenta civiltà contemporanea che assoterra il passato con ritmo frenetico. E l’hanno ancora trovato questo mondo, carico di indipendenza, di umori, di valori, di intelligenza. Di mani sapienti e di pensieri acuti, che accettano o rifiutano di colpo il malcapitato ‘turista’ entrato o non entrato in sintonia con loro. Una sintonia che ha permesso a De Cian di riprendere con efficacia fuori dal comune, uomini e donne di oggi, ma già remotissimi, alle prese con lavori ancora validi e soddisfacenti sul piano umano, per chi riesce ancora a farli. Di fronte a lui questi uomini e queste donne, antichi e moderni insieme, si sono lasciati andare, si sono lasciati cogliere, nella pienezza della loro esperienza umana e tecnica”. E allora guardiamole e “leggiamole” le immagini di quest’ultimo capitolo, partendo da quella cui Piccolo ha dedicato questa dicitura: “Spauracchio nel campo”; a seguire: “Prima estate”; quindi: “Il mese dei morti” e “Tabacchiere”; e, ancora: “Dalla terra al cielo”; seguita da “L’umile ‘barèla’ nel suo ultimo rifugio”; che precede: “I ‘secondi’ di San Gregorio, Silenzio nelle ‘maiolere’ abbandonate”; poi: “Nobiltà decaduta”; “Toilette rusticana a Gena Alta”; “Antichissima pietra di frantoio per noci: ora giace murata fra consorelle meno illustri”; “Spinta verso l’alto”; “La ‘nida’ dopo il burro”; Pensieri d’adolescente in un volto bellunese”; “Tramonto presso il ‘larìn’”; “Speranza”; per concludere con: “Nelle sere d’estate il canto si leva sopra gli alberi delle rive del Piave in compagnia del vento che odora di fieno”. In questa terra il canto scioglie i nodi interiori, fa battere il cuore, porta lacrime agli occhi”.