di RENATO BONA
BELLUNO“Onorarono la loro terra nell’arte, nella cultura, nelle scienze, nella poesia, nella musica: Placido Fabris, Pietro Bortoluzzi, Rissieri Bona, Vincenzo Bona, Fioravante Bona, Michele Fagherazzi, Giovanni De Min, Antonio Sandi, Luigi Rossi, Umberto Da Pos, Osvaldo Mazzoran, Flaminio Grappinelli, Silvestro Boito, Camillo Boito, Rinaldo Fulin, Giosuè Fagherazzi, Umberto Trame, Mosè Prian, Ermolao Berettini, Andrea Alpago, Luigi Alpago Novello, Bartolomeo Zanon, Arrigo Boito, Basilio Sisti, Pietro Stiletto, Domenico Bortoluzzi, Angelo Fiori, A. Fiorello Lavina, Rodolfo Roella, Gioachino Roella, Lorenzo Roella, Silvio De Pra, Rodolfo Sonego, Giacomo Rumor”. L’elenco che precede apre il primo capitolo del libro “Personaggi illustri dell’Alpago e Ponte nelle Alpi”, realizzato dal compianto maestro Mario De Nale. L’iniziativa del volume – stampato nell’agosto 1978 per i tipi della tipografia Piave di Belluno, referenze fotografiche della Fondazione Cini, Museo Correr e Museo di Ca’ Pesaro, di Venezia; dei fotografi bellunesi Zanfron e De Santi e dello stesso De Nale; in copertina: “Madonna col Bambino” di Placido Fabris – fu del Centro sociale di educazione permanente di Tambre e dell’Aeb (Associazione emigranti bellunesi, oggi Bellunesi nel Mondo) col sostegno della Regione Veneto e della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno. L’Alpago e Ponte nelle Alpi – lo scrisse l’allora provveditore agli studi di Belluno Mario Morales – sono stati la culla di ingegni fecondi e De Nale ha voluto considerare cittadini dei due comuni anche chi non vi era nato, purché originario per famiglia; e ne è venuta fuori una teoria di pittori, scultori, poeti, musicisti e quanti hanno operato per la Patria, che, quasi tutti, lo hanno fatto fuori del luogo d’origine e spesso all’estero, quasi a sottolineare l’angustia di vita e di opere in territori limitati e depressi e la necessità di evasione per chi abbia voluto trovare spazi più ampi per la giusta affermazione del propri valori anche culturali, ricavandone un’opera “utile e senz’altro feconda di significati umani e morali per chi sia legato alla propria terra e alla propria gente”. Partiamo con la figura che compare anche nella copertina del libro: Placido Fabris, cui Mario De Nale (un caro amico, a lungo, fra l’altro, collaboratore della redazione bellunese del Gazzettino che ho avuto l’onore e l’onere di guidare per oltre 7 anni) intendeva rendere omaggio “al grande pittore e alla gente della conca sempre onesta negli affari, fulgida di animo, caparbia, infaticabile ed inventiva nel lavoro; gente che riflette una propria caratteristica, una propria tradizione e consuetudine di vita”. Figlio di Francesco e Giacoma Bortoluz, nacque il quel di Pieve d’Alpago il 20 agosto 1802, era di venerdì, e morì a Venezia – secondo quanto riportato da De Nale il 7 settembre 1879, mentre in realtà pare proprio sia mancato a Venezia sì ma il 1 (o il 7?) dicembre 1859 (secondo Wikipedia). Fin dalle elementari si distinse nel disegno, in particolare nel proporre la figura umana tanto che il maestro consigliò la famiglia di fargli proseguire gli studi dopo la licenza. A prezzo di grossi sacrifici, venne dunque iscritto all’Accademia di Venezia che frequentò con impegno sotto la guida del maestro Teodoro Matteini, ispirandosi in modo particolare al Tintoretto e divenendo un buon ritrattista ed un noto pittore tanto che la sua fama superò i confini veneti e venne chiamato in molte città italiane e all’estero per l’esecuzione dei ritratti di grandi personaggi dell’epoca o per allestire le sue creazioni nelle più famose gallerie; lavorò anche per lo Zar Nicola I che gli ordinò la copia di un quadro del Tiziano eseguita nel 1847; la sua infaticabile attività era parzialmente rivolta anche al restauro di dipinti antichi. De Nale annotava quindi che “… la sua pittura sa offrirci una grande ricchezza di originalità ed ispirazione” tanto che “osservando i suoi ritratti e, segnatamente, quello che rappresenta i suoi genitori, non è affatto difficile scoprirvi tutta quella bontà, quell’umiltà e semplicità d’animo che palpitavano nel cuore del pittore, ereditate dalle precarie condizioni di vita modesta offertagli dalla famiglia negli anni della fanciullezza e che poi egli, col pennello magico mosso da fremiti del suo spirito, ha saputo infondere con tanta umanità, sia in questa , come in tante altre sue opere”. E poi un episodio legato ad un invito ad esporre le sue ultime realizzazioni in una grossa personale a Londra: la mostra non ci fu perché i quadri di Placido Fabris finirono in fondo al mare nella nave naufragata! L’invito tuttavia – viene opportunamente scritto – fa quanto meno supporre che egli avesse creato qualcosa di nuovo che era riuscito ad attirare l’attenzione dei critici e dei pittori inglesi del suo secolo. E questo qualcosa di nuovo poteva essere ricercato, molto presumibilmente, nel suo nuovo messaggio legato alla luce e al colore, che si chiamerà poi impressionismo, al quale attinse il suo più celebre contemporaneo Matisse e che esplose poi con i Nabis…”. Va infine citata, fra molte altre, l’iniziativa del comune di Pieve d’Alpago, all’epoca, 2002, guidato da Erminio Mazzucco, che a duecento anni dalla morte dell’artista affidò allo storico Paolo Conte l’incarico di una mostra con relativo catalogo con disegni dalla collezione civica di Pieve d’Alpago e ritratti di famiglia, con un saggio di Massimo de Grassi, testi e schede di Emanuela Rollandini, progetto grafico, impaginazione e copertina di Antonio Genuin, stampa tipografia Piave di Belluno, presentazione dello stesso Mazzucco.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro di Mario De Nale e dal catalogo della rassegna del 2002): la copertina del libro-catalogo del Comune con “Autoritratto”, matita su carta avorio, della collezione eredi Fabris; l’ultima di copertina con “Venere disarma cupido”, della collezione civica; copertina del volume di Mario De Nale; “Amore e psiche”; “Ritratto”; “G. Danieli (Ca’ Pesaro); il famoso “I miei genitori”; “G. Bernardi” (Museo di Belluno); “G. Craglietto” (Museo di Belluno) “C. Danieli” (Ca’ Pesaro); “Il medico, la finta svenuta e l’amante”; “A. Canova” (Ca’ Pesaro); “Madonna con putto e santi”.