Lo scomparso giornalista Fiorello Zangrando, che era il mio caposervizio quando ho cominciato a lavorare a Il Gazzettino, ed è divenuto ben presto un amico vero oltre che un bravo “maestro” era orgoglioso di essere cadorino e ci teneva a sottolineare, sempre: “di Perarolo di Cadore!” (dove era nato l’1 dicembre 1934 – ndr.). E alla terra natale, alla sua gente, alle sue realtà in ogni campo, teneva moltissimo. Lo conferma, in qualche modo, anche “Un saluto dal Cadore”, edito nel 1981 da Nuovi sentieri Editore di Bepi Pellegrinon per i tipi di Arti Grafiche Tamari di Bologna. Si tratta di un volume della collana “Vecchie cartoline” per il quale Fiorello Zangrando ha curato, con grande garbo testo e commento, illustrando vecchie cartoline della raccolta Benito Pagnussat. In questa sede ci limiteremo a proporre a chi ci segue le prime immagini ed i relativi commenti che danno il via ad una splendida carrellata sul Cadore di un tempo, ma ci pare opportuno premettere una scheda che la libera enciclopedia Wikipedia ospita nel proprio sito a proposito della voce Cadore: “Il Cadore è una regione storico-geografica italiana, situata nell’alta provincia di Belluno in Veneto ed in minima parte nella provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia (limitatamente al comune di Sappada). Tale territorio, interamente appartenente alla zona montuosa delle Dolomiti orientali, confina con l’Austria (Tirolo e Carinzia), il Trentino-Alto Agide, la Carnia e la provincia di Pordenone. Il toponimo Cadore, come afferma il glottologo Giovan Battista Pellegrini, è di origine celtica e deriverebbe da catu (battaglia) unito a brigum (roccaforte). Potrebbe essere stato il nome dell’attuale Monte Ricco, dove esisteva un antico castelliere. La prima menzione scritta del nome di Catubrini risale ad un’epigrafe sepolcrale del II secolo d. C. ritrovato a Belluno nel 1888, in cui un cives romanus, Marcus Carminius, appare loro ‘patrono’ nell’ambito della tribù Claudia. Santi protettori del Cadore, da epoca immemorabile, sono Ermagora e Fortunato, poiché l’arcidiaconato del Cadore (con cortina d’Ampezzo) faceva parte dell’antico patriarcato di Aquileia (dal 1751 dell’arcidiocesi di Udine). Il 1. gennaio 1847 il Cadore fu staccato dall’arcidiocesi di Udine e unito alla diocesi di Belluno. E veniamo alle nostre foto. La prima, dal titolo Costume cadorino, è la riproduzione di una cartolina della Pompeo Breveglieri editore di Belluno, cui è stata accostata questa dicitura: “L’hanno caricata di una masserizia incredibile, per addobbarla, questa giovane. Facciamo il conto: costume al completo, cesto per raccogliere funghi o patate o qualcosa del genere, rastrello, l’immancabile. Ma del décor fanno parte anche i sassi e gli sterpi del palcoscenico”. Ed eccoci ad Ospitale e Rivalgo; del primo si può leggere: “E’ un po’ anonimo anche Ospitale, per quanto dotato di una bifora d’epoca caminese. Arrampicato sulla costa del monte, rappresenta una fetta di quel gambo che poi, oltre la Cavallera, diventa fiore. Un approccio dignitoso con un nome usuale ma beneaugurante. Luogo di ‘terroni’ ma sempre cadorini”. Del secondo: “Be’ non è proprio i Cadore canonico. Diciamo che ne rappresenta, geograficamente, un prologo. E’ un Cadore un po’ astratto, anche se qui comincia per arrivare ai vertici di Piave e Boite. Rivalgo, sostanzialmente un borgo di operai, contornato da un mucchio di segherie, dove il terziario fruttifica”. E’ il momento di Perarolo di Cadore col suo Cidolo: “Lo ha cantato anche Giosuè Carducci, questo Cidolo, ponte-saracinesca per raccogliere taglie e travi da inoltrare verso la bassa e spedire anche in oriente. E’ il momento in cui si coagula la ricchezza proveniente dai boschi. Non c’è più l’edificio. Troppo tardi si è capito di salvarlo”. Restiamo a Perarolo di Cadore e leggiamo per un’altra cartolina: “Sembra un’immagine da presepio, largamente folcloristica, Invece è un gruppo di case, la Costa, disposte lungo l’asse di un rivo che è fontana corrente, buona per tutti gli usi. Le abitazioni ammassate discretamente servono, dicono celiando con contumelia i maliziosi, anche da boudoir”. Ancora tra frazioni di questa prima tappa dell’immaginario giro del Cadore. La terz’ultima è ancora per Perarolo di Cadore (non sarà che Fiorello è stato leggermente parziale nella scelta?…): “Qui, a Perarolo, si respira già aria di maggiore signorilità. Datata, peraltro. Adesso l’ ‘ombelico del mondo’ è soltanto un masso erratico della storia stanziale. Ma allora lo dotava nodi alberghi di tutto rispetto, come quello intitolato a Sant’Anna, raccomandato ai ‘touristi’ e ai ciclisti”. Proseguendo: “La strada s’inerpica,deve esplodere verso il Cadore ‘verace’. Si cambiano i tiri di cavallo. Ci si ferma anche a ristorarsi. E’ il tempo in cui ancora non arriva la ‘aradio’. La troveranno, la ‘scatola che si sente’, le generazioni venture. Per adesso basteranno quattro chiacchiere”. E concludiamo: “Un tocco di architettura di legno fragile, in puro stile liberty, non guasta per attrezzare, si direbbe adesso, il verde. E’ in questa cornice che Antonio Caccianiga ambienta a Sant’Alipio un romanzo che a suo tempo ha avuto qualche fortuna. Anche se i protagonisti sono rigidi in posa sconcertati”.
NELLE FOTO (Frescura Feltre e riproduzioni dal libro “Un saluto dal Cadore “): lo scomparso giornalista Fiorello Zangrando al centro, seduto. Si riconoscono, dall’alto e da sinistra: Sostene Schena, Ezio Pellizzaroli, Sergio Sommacal, Giovanni Lugaresi; seduti: Renato Bona, Zangrando e l’allora sindaco di Feltre, Sisto Belli, mancato recentemente; le “tappe fotografiche” nel commento dell’allora capo redazione de Il Gazzettino.