Si sa chi è il nemico ma si sa dov’era solo quando se nè andato ….. abeti troppo vecchi presenti dall’abbandono dei prati (nella maggior parte dei casi circa 60-70 anni ma anche più). Gli abeti non sono eterni, invecchiano anche loro, qualcuno più velocemente e qualcuno più lentamente, per vari fattori o caratteristiche. Vecchi, quindi deboli e più facilmente attaccabili. Insieme a piante giovani (novellame) cresciute al riparo dei vecchi abeti e che, di per se stesse sarebbero più resistenti, solo che, una volta seccate o tolte quelle grosse che le riparavano, queste giovani rimangono esposte al sole al quale non sono abituate, si indeboliscono e quindi vengono attaccate dal parassita. Riassunto: una gestione non consona dei boschi nel dopoguerra,(quantomeno negli ultimi 50 anni) con piani di riassetto forestali fatti a tavolino (in tanti Comuni l’ultimo piano di riassetto con la presenza di squadre di ragazzi che misuravano le piante e rinfrescavano i confini delle particelle risale a 50 anni fa). I ragazzi che facevano la stagione come “misuratori” con i forestali, ora sona già in pensione. Mi scusino i dottori forestali che hanno redatto i piani, loro hanno solo applicato norme e regolamenti vigenti. In questo periodo si è tagliato con i piani dei tagli basati su piani di riassetto, come detto, aggiornati a tavolino e nell’ottica di agevolare le imprese per l’adozione di nuove modalità di taglio ed esbosco economicamente sostenibili, ma che stressano notevolmente il sistema foresta. E parliamo dei boschi pubblici delle antiche Regole o Vicinie ora “gestiti” dai Comuni che dovrebbero far da tutori di questi beni per conto delle Comunità degli abitanti che sono i reali proprietari, ma sui terreni privati, frazionati all’inverosimile, il problema si pone ancor maggiormente, anzi è quasi irrisolvibile se non con un preventivo riordino fondiario coatto di difficilissima attuazione. Anche il prelievo di tutte le fronde che non restano più in bosco ad emendare il terreno, impoverendo sempre più il “sistema bosco” ed il mancato sfoltimento delle piante, fanno la loro parte. La natura provvede a resettare la situazione: o bostrico o fuoco ….. o Vaia ….e poi si riparte …. E poi si da la colpa al Sindaco di turno , che talvolta ce l’ha, ma molte volte no. Cambiare sistema di gestione delle foreste, sia dal punto di vista selvicolturale che per l’assetto idro-geologico, ricordando che un abete pesa molto sul versante ed ha pochissimo apparato radicare, per cui un abete pesante, posto su un pendio ad alta pendenza è un punto di debolezza per la stabilità e non un punto di forza. Se si vuole tenere un bosco di abeti su alta pendenza bisogna tenere abeti giovani e radi quel che basta per la continuità di fronda, per riparare il terreno dal dilavamento e dalle azioni ustionanti del sole diretto. Insomma essere montanari non vuol dire lavorare 8 ore in fabbrica e fare l’apericena al bar del paese (imprecando verso “chi non fa niente per la montagna”); essere montanari vuol dire abitare veramente la montagna, senza tanta poesia o senza tanto menefreghismo o saccenza che esplode dopo il terzo prosecco, ma conoscerla, con le sue logiche e dinamiche, così come la conoscevano i nostri anziani, ma con una aggravante: che noi ora non abbiamo più il territorio manutentato per secoli che loro ci avevano lasciato.
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