di RENATO BONA
Nel giugno di 12 anni fa Paolo Lazzarin coordinava esemplarmente la realizzazione di un libretto (a scanso di equivoci: diminutivo buono solo per il formato!), quinto di una collana della Casa Editrice Panorama di Trento, stampato da Grafiche Antiga di Crocetta del Montello. Si tratta di “Dolomiti. Patrimonio dell’umanità. Il paesaggio abitato” (gli altri titoli: “I Gruppi e le Cime”, “Rocce nate dal mare”, “Piante e fiori”; “Animali”, “Le conquiste dell’impossibile”, “Rifugi e sentieri”, “Leggende”. Corredata da splendide immagini, la pubblicazione è dedicata ai “Gruppi montuosi protetti dall’Unesco”: 1 Pelmo, Cernèra, Croda Da Lago, Formìn; 2 Marmolada, Vernèl; 3 Dolomiti centrali: Pale di San Martino, Focobón, Pale di San Lucano, Agnèr, Civetta-Moiazza, Tàmer-San Sebastiano, Spiz di Mezzodì-Prampèr, Talvena-Pelf, Schiara, Monti del Sole, Vette Feltrine; 4 Dolomiti Friulane e d’Oltrepiave; 5 Dolomiti Settentrionali: Dolomiti del Boite, di Ampezzo, Cadini di Misurina, Tre Cime di Lavaredo, Popèra-Dolomiti di Sesto, Fànes-Sennes-Braies, Cunturines; 6 Pùez-Odle, Sass Rigàis, Sassòngher; 7 Catinaccio, Scìliar, Vàjolet, Làtemar; 8 Rio delle Foglie/Bletterbach; 9 Dolomiti di Brenta. Giustamente, Lazzarin ricorda che è del 26 giugno 2009 il provvedimento con il quale l’Unesco ha dichiarato “Patrimonio dell’Umanità” da preservare intatto per le generazioni future, una vasta parte della regione dolomitica compresa nelle province di Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone e Udine: qualcosa come 230 mila ettari di montagna (con le aree cuscinetto) sopra quota 2000, “pressoché privi di segni dell’uomo, escludendo sentieri e vie ferrate, una manciata di rifugi e rare funivie”. A suo avviso, Unesco ha optato per il ‘paesaggio geografico’ degli spazi disabitati, fatto di crode che si elevano dai ghiaioni al di sopra dei pascoli. In un ambiente che un tempo veniva considerato orrido, che incuteva timore più che rispetto, infruttuoso e portatore di rovine. Ed è solo dalla metà dell’Ottocento che “l’illuminato ardimento di esploratori e alpinisti ha riscattato quel regno di streghe e demoni e lo ha reso disponibile all’umano godimento”. Proseguiva sostenendo che “Il piedistallo di questi monumenti è un mondo bucolico di boschi e pascoli, ruscelli e laghetti. E ci sono anche villaggi e masi, strade e opifici, che costituiscono il ‘paesaggio culturale’, espressione della vita sociale, in continua evoluzione e il cui sviluppo è spesso imprevedibile”. Abitato e non abitato interagiscono mentre altitudine, condizioni climatiche ed orografia di un terriorio influiscono notevolmente sul carattere delle persone che lo abitano e ne condizionano il modo di vita e ne determinano lo sviluppo culturale e sociale. Dal canto suo l’uomo ha il potere di ridisegnare il paesaggio, modificando così la causa prima che ha mosso le sue azioni. Il paesaggio culturale è dunque il risultato di una interazione tra uomo e natura, con i ‘segni dell’uomo’ che rivelano l’incisività della sua presenza e scrivono la storia di una popolazione”. Seguono i capitoletti in cui è articolata la pubblicazione: “Lo sfruttamento della montagna” che è da sempre fornitrice di beni alla pianura con bacini idrografici e centrali elettriche, miniere, boschi e cave di pietra; “I primi insediamenti” per rammentare che “L’uomo nelle Dolomiti è arrivato circa 12.000 anni fa, al termine dell’ultima glaciazione”; “Il passaggio dei Romani” in cui si ricorda che del loro procedere verso i paesi di oltralpe (primo secolo avanti Cristo) ci sono i primi segni nella regione dolomitica: monete, cippi confinari, stele, strade, e che le milizie romane non percorsero lande disabitate dato che trovarono villaggi e castellieri costruiti da popolazioni celtiche, paleovenete, o veneto illiriche che si erano insediate nella regione cinque secoli prima. Ancora: “Le città alpine”, “Invasioni culturali”, “Comunità isolate e aggregate”; “Le ‘viles’ ladine”, “Forni e fucine lungo i torrenti”; “Pietra e legno”, “Il fuoco, cuore della casa”, “L’edilizia turistica”, “Le tendenze moderne”. Cioè tutta una serie di notizie e situazioni sulle Dolomiti che se fino a due secoli fa creavano solamente problemi, registrarono poi l’arrivo dei naturalisti, quindi dei “viaggiatori”, poi degli esploratori e degli alpinisti e infine “furono invase da escursionisti, villeggianti e turisti ansiosi di godere meraviglie tanto decantate”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libretto “Dolomiti. Patrimonio dell’Umanità. Il paesaggio abitato”): copertina della pubblicazione; l’Antelao; paesaggio della Val di Zoldo; Alleghe ed il suo lago; agglomerato del Fodòm bellunese; la diga del Fedaia; la centrale idroelettrica di Soverzene; ricostruzione del cacciatore di Mondeval (5.500 a.C.); iscrizioni confinarie romane sulle pendici del monte Civetta; classico scorcio di Colle Santa Lucia; bestiame al pascolo in basso Fodòm; panoramica di Zoldo innevato; Padola di Comelico; la longaronese frazione di Soffranco; per la chiusura “artistica” della carrellata di immagini: lo studio innevato del noto scultore Augusto Murer, a Molino di Falcade.