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di Tiziano De Col
Siamo sempre talmente presi dalla quotidianità e dalle cronache giornaliere provenienti non solo dall’ Italia, ma dall’intero mondo, che, molto spesso, ci dimentichiamo della nostra storia passata, anche costituita da oppressioni, dominazioni, invasioni, che tante sofferenze e mortificazioni portarono ai nostri antenati. Per lo spirito di resistenza ed abnegazione professato da taluni di loro, anche noi oggi abbiamo la possibilità di vivere in un mondo libero e il minimo che possiamo fare è ricordare i loro sacrifici che portarono taluni di loro alla prigione e molto spesso anche alla morte. Dal 1815 (Congresso di Vienna) il paese di La Valle Agordina, come tutto il bellunese ed il veneto, fu sottoposto all’invasore austro-ungarico ed inseriti nel Regno del Lombardo-Veneto. Nell’ Agordino (congiuntamente a Cadore e Zoldo) nel 1848 vi furono sollevazioni popolari contro l’oppressore. Don Ferdinando Tamis, nel 1966 diede alle stampe per i Tipi della Tipografia Piave di Belluno, una interessantissima pubblicazione, curata dalla Comunità Montana Agordina e titolata “Il contributo dell’ Agordino per l’indipendenza ed unità d’Italia 1848-1866”. La sollevazione di Cadore, Agordo e Zoldo era direttamente connessa con i moti insurrezionali del 1848 e la Repubblica Veneta di Daniele Manin. Pier Fortunato Calvi, creatore e condottiero dei Corpi franchi in Cadore, cedeva e scioglieva i citati Corpi. “Era il 9 giugno 1848, giorno di Venerdì. La giornata era splendida, quasi il sole volesse col suo sorriso salutare l’ultimo palpito della morente libertà. Poco dopo il mezzogiorno vedevasi dalle chine del Duràn scendere serpeggiante una colonna di soldati dalle bianche divise, dai fucili luccicanti! Erano gli austriaci che dal Cadore e dal Zoldano muovevano su Agordo. Il Comitato di difesa composto dei signori: Manzoni nob.Luigi, Paganini dott. Stefano, Probati dott. Eugenio, Probati Giusto, Tomè angelo, Ricci Giuseppe, raccoltosi in quei supremi momenti decise di arrendersi al nemico.” Per una descrizione dell’antica strada che portava da Agordo al valico del Duràn consigliamo di leggere un nostro precedente articolo “L’antica strada tra Agordo e Zoldo” https://www.radiopiu.net/wordpress/lantica-strada-tra-agordo-e-zoldo/ . Nel contesto della rioccupazione austriaca di Cadore, Agordo, Zoldo, ritroviamo la figura patriottica di un sacerdote lavallese, don Cassiano De Col, figlio di Giovanni Battista e di Caterina Mezzacasa, nato a La Valle il 19 settembre 1819. Venne ordinato sacerdote nel 1845. Così lo descrive Don Ferdinado Tamis nella pubblicazione citata : Il 12 marzo 1849 venne arrestato ad Agordo e condotto nelle carceri di Belluno, perché faceva discorsi “male misurati contrarj all’ attual legittimo ordine di cose ed atti a sturbare il buon ordine, e la pubblica tranquillità”. Venne rimesso in libertà sei giorni dopo. Emigrò in vari luoghi della penisola. Fu arrestato di nuovo il 24 febbraio 1855 per “alcune corrispondenze, dalle quali dovevasi arguire che sussistesse una società segreta con la tendenza di riformare il Clero e non estranea anche a riforme in senso politico”. Condannato il 27 dicembre dalla Corte Speciale di Giustizia di Mantova a sei anni di carcere duro “ per crimine di alto tradimento”, ricorse in appello, ma la sentenza fu confermata. Il Presidente della Corte Speciale di Mantova, nel darne comunicazione al Vescovo di Belluno (21 febbraio 1856), lo invitava “affinchè nei sensi del $ 320 della Vigente procedura Penale disponga per la degradazione del condannato dalla dignità spirituale, con l’avvertenza che non seguendo la relativa disposizione entro giorni trenta, la Sentenza di condanna sarà senz’altro eseguita”. La diocesi di Belluno, per la rinunzia del vescovo Gava e la morte dell’eletto monsignor Scarpa, era governata dal Vicario Capitolare Giovanni Battista Cercenà. Il Vicario Capitolare non ebbe una sola parola di difesa per questo confratello, condannato al carcere duro. Già in una sua lettera del 30 aprile 1855 diceva che il De Col “accarezzò infatti la fallacia delle nuove idee del fatale 1848 e folleggiò, e se avesse avuto credito, avrebbe operato da caporione”. Ora (28 febbraio 1856) dichiarava che “abbandonandolo al braccio secolare, intende questa Curia eziandio aver disposto per tutto il resto, che sta nel $ 320 della procedura penale vigente”. La Provvidenza veniva in aiuto di lui, che circa un anno dopo era liberato per l’amnistia concessa dall’ Imperatore ai condannati politici. La lunga vacanza della sede vescovile era stata pregiudizievole alla diocesi di Belluno. Infatti il nuovo vescovo, Giovanni Renier, vero padre dei sui sacerdoti in un momento difficile, scriveva da Feltre il 27 marzo 1859 al cancelliere vescovile don Angelo Volpe: “Nessuno meglio di voi conosce quanti sforzi abbia io fatti per liberare cotesto clero dalle mani della Polizia. Pensate che figura farei se tornassero a cadervi e quanto difficile potrei riuscire a salvare i recidivi”. Don Cassiano De Col era fornito di intelligenza e abilità, ma aveva un carattere irrequieto e mancava di prudenza, così che ebbe molti nemici, anche fra i confratelli, e le voci a suo carico piovevano senza parsimonia. Dobbiamo pensare che Don Cassiano De Col intendesse la liberazione dei territori invasi dagli Austriaci, non tanto in funzione di una annessione al Regno d’Italia (che aveva difficili rapporti con la Chiesa culminati con la presa di Roma da parte del Regno con la breccia di Porta Pia e la fine di Roma come capitale dello Stato Pontificio per divenire capitale del Regno d’ Italia) ma in funzione di una restaurazione della Repubblica Veneta come tentò Daniele Manin nel 1848). Deduciamo questo, in quanto, nel periodo temporale dell’estate – autunno 1866, durante il quale si tenne anche il Plebiscito per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia fu tentata la cattura di Don Cassiano De Col anche da parte del Comando dei Garibaldini di Agordo. Così, Don Ferdinando Tamis riporta l’avvenimento nella sua pubblicazione : Nella notte fra il 19 e 20 agosto 1866, dal Comando dei Garibaldini di Agordo, con l’ assistenza della Guardia cittadina locale, veniva tentata la sua cattura a La Valle, e due giorni dopo, il commissario del Re, Giuseppe Zanardelli, che era appena giunto a Belluno, scriveva al Pretore di Agordo, Leopoldo Scarienzi, invitandolo a disporre per il suo arresto. Ma il De Col era già riparato in Trentino. Nella seconda parte di questo ricordo di Don Cassiano De Col, tratteremo, sempre attraverso documentazione di Don Ferdinando Tamis, delle vicissitudini attraversate da Don Cassiano De Col anche sotto al Regno d’Italia, con le sue continue fughe e latitanze, ma , riporta Don Tamis: “ A differenza di altri sacerdoti, nessun provvedimento canonico venne preso nei suoi confronti e non venne mai sospeso a divinis.”
Nella immagine allegata sono rappresentati alcune scofe (baite) ed alcuni ruderi in località La Fossa sita a circa 1450 metri di quota in Val Dagarei, nella zona sottostante Forcella Dagarei (Alta Via n 1) versante torrente Missiaga. Un anziano del paese, circa 30 anni fa, mi raccontò che la sua famiglia si tramandava la notizia secondo la quale, in una di quelle scofe, si nascondesse al tempo don Cassiano De Col (don Cassian per i paesani) durante le sue latitanze (prima dagli Asburgici e poi dal Regno d’Italia) e in una di queste scofe celebrasse anche la Messa. La foto è tratta dall’ Archivio Tiziano De Col e risale al 2013 .
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