Ciò che è avvenuto a Betlemme venti secoli fa può esser qualificato come un’invasione di gioia. Una gioia immensa, una gioia invincibile, per la prima volta è entrata nella storia; in quella storia umana che è tante volte un succedersi ripetitivo di tristezze e di angosce. “Vi annunzio una grande gioia” (Lc 2,10): così nella notte santa l’angelo dà la notizia del Natale agli insonnoliti pastori. Questa gioia, notificata dal cielo, è arrivata fino a noi e contraddistingue e rischiara lietamente questi giorni tra tutti i giorni dell’anno.
La ragione più semplice e immediatamente comprensibile della felicità che – in misura e in forme diverse – oggi raggiunge ogni uomo, è che l’umanità intera almeno confusamente capisce di aver ricevuto un regalo. Un regalo, anche se piccolo, è il segno che qualcuno ci vuole un po’ di bene; e sentirsi amati è la cosa più bella e gratificante che ci sia. Qui, però, il dono è il più grande e sorprendente che si possa pensare: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).
Ma che cosa rappresenta il bimbo nato a Betlemme per noi che dobbiamo affrontare un pellegrinaggio terreno sovente privo di certezze, carico di problemi? Quel bambino è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), ci è stato risposto. Dopo che lui è venuto, non siamo più dei viandanti che camminano al buio, ma persone che possono davvero “rialzare la testa”, così come è stato fatto in questo nostro territorio dopo la tempesta di fine ottobre e come 50 giovani artisti bellunesi hanno cantato: “alziamo la voce, alziamo la testa”.
Possiamo farlo, sempre in ogni circostanza avversa perché Dio si è fatto uomo sul serio, abita in mezzo a noi, è ormai dei nostri, nostro familiare e nostro compagno di viaggio: anche questo fa parte dell’intima motivazione della gioia natalizia, perché possiamo “alzare la voce e alzare la testa” dopo ogni sconfitta. Anche dopo ogni peccato.
Allora: da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha preso dimora fra noi, nessuno deve più sentirsi abbandonato e solo. Ogni persona che crede e accoglie il Natale nella sua piena verità, arriva alla persuasione che lo fa rinascere e gli fa dire: “C’è un Dio che è con me, un Dio che sa che ci sono e non mi dimentica, un Dio che mi ha raggiunto con il suo amore, un Dio che ha assunto volto e cuore di uomo perché anch’io possa amarlo come lui mi ama”. Questa è la bellezza e l’incanto più bello della festa di luce e di vita che oggi ci raduna.
Abbiamo iniziato la nostra riflessione ricordando le parole dell’evangelista Luca: “Ecco vi annunzio una grande gioia”; ora al termine, annotiamo che Luca aggiunge: “gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,11): così la voce dell’angelo ha squarciato non solo il silenzio della notte palestinese, ma anche la notte oscura del male che sembra imperversare sull’intera vicenda umana contemporanea. “Di tutto il popolo”, dunque – nonostante tutto – anche nostra.
Questa gioia ineffabile entri così in tutte le case: si posi
come una carezza divina sul capo dei nostri bimbi,
come gesto di incoraggiamento per i giovani,
come dolce conforto nelle sofferenze dei malati,
come una presenza rasserenante nel deserto di chi si sente comunque solo
come un’energia di vittoria nella debolezza di chi è tentato,
come la certezza per tutti di un’esistenza più significativa e felice.
Questo è il mio augurio per ciascuno. Il Signore lo confermi con la sua grazia.