Con un cuneo fiscale1 che in percentuale del costo del lavoro è al 47,7 per cento, l’Italia – dopo Belgio (53,7 per cento) e Germania (49,6 per cento) – è il Paese dove il peso delle tasse e dei contributi sulla retribuzione lorda dei lavoratori dipendenti è il più elevato tra le nazioni Ocse2 (vedi Tab. 1).
Se decomponiamo il peso complessivo delle cuneo nelle quote in capo agli imprenditori e ai lavoratori dipendenti, emerge che i contributi sociali “versati” dai titolari d’azienda ammontano al 24 per cento del costo del lavoro (quarto posto in graduatoria dopo Francia, Repubblica Ceca ed Estonia), mentre le imposte e i contributi corrisposti dai dipendenti incidono per il 23,7 per cento (14 posizione a livello Ocse) (vedi Tab. 2).
“Sebbene negli ultimi anni sia in calo – afferma il Segretario Renato Mason – la dimensione del cuneo fiscale in Italia rimane un forte ostacolo alla crescita, allo sviluppo degli investimenti e all’espansione dell’occupazione. Per queste ragioni bisogna ridurre le tasse sul lavoro, iniziando dalla componete riconducibile ai lavoratori dipendenti. Con buste paga più pesanti, infatti, la probabilità che gli effetti positivi di questa misura rimettano in moto anche i consumi interni è molto elevata”.
Visto che le risorse finanziarie a disposizione del Governo sono molto limitate, la CGIA ha assunto una posizione molto chiara anche sul tema di queste ore: ovvero, l’introduzione dal 2020 della flat tax per i redditi familiari al di sotto dei 50.000 euro lordi.
“Ogni riduzione del livello di tassazione – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – non può che essere salutato positivamente. Tuttavia, visto che le coperture sono limitate, non vorremmo che la flat tax fosse in parte finanziata attraverso un aumento selettivo dell’Iva. Ricordo, che l’eventuale introduzione della tassa piatta non avrebbe alcun effetto positivo per coloro che non percepiscono alcun reddito, come i disoccupati o gli inattivi, e nemmeno per una buona parte dei 10 milioni di contribuenti italiani che si trova nella cosiddetta no tax area. Mi riferisco a molti pensionati al minimo e altrettanti lavoratori precari che non versano alcuna imposta sul reddito. Viceversa, l’incremento dell’Iva peserebbe su tutti, anche su chi non beneficerebbe alcun vantaggio dall’introduzione della flat tax, penalizzando, soprattutto, le fasce sociali più deboli”.