Conservo gelosamente tra i ricordi più cari una cartella contenente otto litografie di Vico Calabrò personaggio dell’arte che mi ha onorato della sua amicizia; mi era stata donata dallo scomparso titolare della “Galleria d’arte Campedel” l’amico Giuseppe Da Rold, “Bepo profugo”, che, sotto gli auspici dell’Istituto storico bellunese della Resistenza (all’epoca non era ancora stato aggiornato in Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’età contemporanea”) l’aveva stampata, in soli 200 esemplari, a Vicenza da Giuliano Busato, nel settembre 1975 in occasione del trentennale della Liberazione. Raccoglie, oltre ai lavori di Calabrò, una nota storica del terzo mio personale amico: Gilberto Zuliani con il quale avevano collaborato alla realizzazione dell’opera: Giusto Branchet, Luigi Dall’Armi, Vincenzo Dal Farra, Eliseo Dal Pont, Luigi Dal Pont, Bepi Da Rold, Quinto Malatrasi, Bruno Milano, Toni Pacifici, Albertina Padrin. In apertura è riportata la motivazione della medaglia d’oro al valor militare alla Città di Belluno (leggibile anche in una grande lapide sul lato destro di “Palazzo Rosso” sede del Municipio) che sintetizza il tributo pagato dall’intera provincia e dalle sue genti, alla lotta vittoriosa contro il nazifascismo dal settembre 1943 all’aprile 1945. Ed ecco il contributo di Zuliani, intitolato “Episodi della Resistenza nel Bellunese”: “Figure di uomini e di donne, figure di giovani e di vecchi, figure scure e rosse di vita intensa, di stragi e lotte. Figure allucinate, ma forti e tremende. Figure fiere, composte ed eterne, ferme in un momento di storia. Da tutte un urlo s’alza e rintrona: basta! Sale dal muro della casa dell’uomo distrutta, dai volti di madri, dal pianto di figli e di spose, dalla rabbia dei dispersi, dal dolore cieco dei ‘lager’. Libertà, progresso, pace, giustizia: quanto siete costate! Per voi il popolo muove le montagne, sacrifica se stesso, brucia le sue cose, per consegnarvi, pulite, a quanti verranno. Al popolo dunque eleveremo marmi e ricordi. Diremo delle donne,dei villaggi arsi, dei bimbi maciullati, dei preti patrioti. Diremo del sangue partigiano, delle torture a morte, delle battaglie senza pietà per battere bestialità e superbia. Diremo dell’orrore di Germania, dove l’odio consumava corpi e anime che ‘non volevano’. Questo consegneremo ai figli perché si sappia, perché si eterni il bene di tutti. Perché amore costruisca, sulla Resistenza, l’Italia degli uomini liberi”. Seguono gli episodi e figure della Resistenza che hanno ispirato Vico Calabrò e che in sintesi qui propongo, alla vigilia del 75. anniversario della Liberazione: il primo ricorda l’“Agguato al Ponte San Felice” del 14 luglio 1944, il tragico appuntamento della delazione che decimerà una pattuglia della brigata “Tollot”: dieci vittime e tre superstiti. Il secondo, del 20 agosto 1944, la “Distruzione di Caviola“ con ingenti forze del 3, Reich che infieriscono su Caviola, Garès, Tabiadon, Feder, Fregona e Tegosa nella Valle del Biois:106 case e 74 fienili distrutti, 645 senza tetto, 27 i caduti. Poi: “Le donne nella Resistenza” con la sottolineatura che “la fierezza e la tenacia delle donne alimentano i combattenti della libertà, maturano l’atteggiamento della popolazione, determinano un nuovo modo di pensare e di vivere. E’ bellunese l’unica donna paracadutata dal sud, che con gli arti fracassati raggiunge il suo comando; è bellunese mamma Schiocchet, morta di crepacuore poco dopo l’impiccagione in Sant’Antonio (Trichiana) dei 4 figli. Quindi il “Rastrellamento del Cansiglio” del settembre 1944: Il piano Kesselring prevedeva contro le zone liberate o fortemente controllate, una serie di offensive e rastrellamenti da concludere con una grande operazione campale di annientamento in Cansiglio… Le forze partigiane eludono la manovra, escono dall’accerchiamento e si ricostituiscono definitivamente nelle zone che le vedranno alla fine vittoriose”. Ora, la “Storia di Anto, 25 febbraio 1945”: Anto e un compagno scendono a Feltre ed affiggono manifesti contro i tedeschi; al ritorno sono affrontati da una spia armata che intima l’alt: Anto è pronto a far fuoco, la spia è abbattuta ma egli riceve un colpo al ventre. Un automezzo lo riporta in montagna: non un lamento ma solo la fretta di guarire per riprendere il posto di responsabilità di comando alla “Gramsci”. La sofferenza è atroce ma torna alla lotta ed i compagni traggono dal suo esempio nuovi motivi di stima. Poi gli ultimi combattimenti, la liberazione. I partigiani tornano a casa ma non Anto: all’ospedale conduce l’ultima battaglia e un anno dopo muore. Infine “I Martiri del Bosco delle Castagne e di Piazza Campitello del marzo 1945”: “Siamo quasi alla fine. La grossa belva nazista è come impazzita e la sua vigliaccheria le fa preferire alla lotta la rappresaglia. Dieci partigiani vengono impiccati al Bosco delle castagne, quattro nella Piazza principale di Belluno, per un ultimo, tremendo monito. Ma è la sorte di ogni rappresaglia: da quegli alberi rinsecchiti , da quei lampioni di morte, il nuovo sacrificio di uomini semplici e liberi costituisce l’impegno irrinunciabile per una nuova dignità. E’ una lezione morale che isola definitivamente gli invasori e i loro servi”. La cartella si chiude con l’episodio e l’illustrazione della “Beffa di Baldenich del 15 giugno 1944”: “Sette soldati ed un maresciallo tedeschi armati di “mauser” e “maschinenpistolen” sospingono quattro riottosi borghesi… il portone si apre, il drappello entra, il portone si chiude. All’interno i “tedeschi” ed i partigiani immobilizzano le guardie, tagliano i fili del telefono, aprono le celle dei “politici”. Il portone si riapre più tardi per far uscire con gli 8 militari poco teutonicamente euforici, i 4 rastrellati e 73 detenuti, membri dell’organizzazione militare e politica, personalità della cultura ed antifascisti; avviati su camion veloci verso zone controllate dalla Resistenza”. E con l’omaggio ai trucidati in cui si legge: “Impiccati, trucidati, arsi vivi, morti per sevizie: sono i martiri della libertà. Con loro i morti in combattimento, i caduti nelle formazioni nel resto d’Italia e all’estero, a Cefalonia, a Lero, nel Corpo di liberazione, nei ‘lager’ di Germania. Cerchiamo di esserne degni”.