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AGORDO In occasione della Festa della Liberazione le celebrazioni di fronte al monumento ai caduti ad Agordo. Video e commento di Mirko Mezzacasa, intervento del sindaco Roberto Chissalè
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ORAZIONE UFFICIALE DEL SINDACO OSCAR DE PELLEGRIN ALLA CERIMONIA DEL 25 APRILE IN PIAZZA DEI MARTIRI
Signore e signori, autorità religiose, civili e militari, associazioni combattentistiche, cittadine e cittadini, oggi, in questa piazza, celebriamo una data che non è solo una ricorrenza storica, ma un fondamento vivo della nostra identità nazionale: il 25 aprile. Quest’anno, la celebrazione assume un valore ancora più profondo: ricorrono infatti gli 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Un anniversario importante, che ci invita a riscoprire con ancora maggiore consapevolezza il significato di quella vittoria. Non celebriamo solo una data, ma la forza di un popolo che seppe rialzarsi dopo gli anni bui della dittatura e della guerra, che seppe scegliere da che parte stare e costruire una democrazia vera. Ecco perché oggi siamo qui, non solo per ricordare, ma per rinnovare un impegno collettivo: quello alla libertà, alla democrazia e alla responsabilità civile. La Resistenza non fu un episodio marginale. Fu un moto profondo, un movimento che seppe unire l’intero popolo italiano in uno slancio collettivo. In quell’occasione uomini e donne di ogni classe sociale e provenienza dimostrarono che si può mettere da parte le differenze per un obiettivo più grande: la libertà. Ed è forse questa la lezione più potente che il 25 aprile ci consegna e sulla quale oggi, qui con voi, vorrei concentrare la mia breve riflessione: la Resistenza ci ha insegnato che si può — e si deve — essere diversi, ma uniti. Che una comunità cresce quando accetta e custodisce le sue pluralità, orientandole verso un bene comune. In un mondo che cambia e che sembra non avere più punti fissi, dobbiamo avere chiari e fermi i pilastri che ci uniscono e che per noi sono importanti come comunità. E su questi, trovarci, riconoscerci, unirci al di là delle nostre differenze. Perché l’ideologia non può e non deve mai diventare più importante della difesa, insieme, dei nostri valori fondanti, scritti con coraggio e visione nella nostra Costituzione, figlia di quell’anelito fortissimo di libertà. Al di là delle nostre diversità dobbiamo cercare di trovarci uniti proprio lì perché essa è molto più di un documento che stabilisce le regole del buon vivere, è l’esempio più alto di questo patto: un patto che ha scelto di fondare la Repubblica sul lavoro, sulla libertà, sulla dignità umana, sulla giustizia sociale. E che ancora oggi ci affida un compito: quello di vigilare. Cosa significa allora, oggi, essere antifascisti? Significa considerare come non negoziabili valori quali la libertà, la democrazia, la giustizia e la dignità di ogni persona. Opporsi a ogni forma di dittatura, a ogni rigurgito autoritario, a ogni tentativo di negare la memoria e il valore della nostra storia repubblicana. Significa difendere la possibilità stessa di convivere nelle differenze, di vivere in un Paese aperto, libero, rispettoso dei diritti umani. In un tempo in cui le differenze rischiano di diventare fratture, in cui il confronto cede il passo allo scontro, è ancora più urgente ritrovare quello spirito unitario che rappresenta la forza di una comunità e di una nazione. Non per cancellare le diversità, ma per renderle energia costruttiva, dialogo fertile e ricchezza condivisa. Oggi, come allora, dobbiamo dunque saperci unire. Di fronte alle sfide che la storia ci pone – siano esse sociali, ambientali, economiche o culturali – è nostro dovere ricordare che apparteniamo tutti a quel 25 aprile. Che siamo figli di quella scelta di libertà e giustizia, e che solo riconoscendoci parte di quella eredità possiamo costruire un Paese dove sia più bello vivere, per tutte e per tutti Non è retorica, la mia. Libertà e pace, due fondamenti del nostro vivere civile, non sono mai un traguardo raggiunto una volta per tutte e ce lo ricordano ogni giorno le immagini e le notizie che arrivano dai conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese, così vicini a noi e così spaventosi nel porci davanti alla fragilità del vivere e della convivenza tra i popoli. La pace è difficile, la convivenza civile è impegnativa e la libertà è fragile. Solo ricordandoci ogni giorno questo e solo desiderando fortemente questi valori, possiamo lavorare a favore di essi e vigilare da sentinelle del nostro Paese e della sua preziosa Costituzione. E qui, proprio parlando di valori universali e fondamentali, voglio ricordare il nostro papa Francesco che con la sua parola e il suo esempio non ha mai smesso di parlarci di pace, di lavorare per la pace e di stimolarci a mettere ciascuno il nostro mattoncino per costruire un mondo migliore. Il pontefice parlava di cultura dell’abbraccio e con quest’espressione intendeva quell’atteggiamento di accoglienza, di conciliazione e di giustizia come unico strumento per costruire legami civili, giusti e buoni. E’ con questo augurio, oggi, che voglio salutarvi: l’auspicio di restare vigili, sentinelle pacifiche e mai silenti, operatori di pace e di libertà.