A seguito dell’attività di accertamento svolta lo scorso anno sulle attività economiche, emerge come la maggiore imposta media accertata dall’Agenzia delle Entrate per ogni singola grande azienda sia pari a poco più di 1 milione di euro, per la media impresa di 365.111 euro e per la piccola di 63.606 euro .
In altre parole, l’entità dell’evasione contestata alle grandi imprese è risultata essere 16 volte superiore a quella delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi (nel 2017 era stata pari a 18). A dirlo è la CGIA. Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“Questi dati ci dicono che la potenziale dimensione dell’infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quella delle piccole. Ovviamente, nessuno di noi auspica che il Paese si trasformi in uno Stato di polizia tributaria; tuttavia, una maggiore attenzione verso questi soggetti sarebbe auspicabile, visto che le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero su estero e alle compensazioni indebite. Reati, quest’ultimi, che non verranno nemmeno sfiorati dalle misure di contrasto all’utilizzo del contante che il Governo metterà a punto nelle prossime settimane”.
In linea generale, sottolineano dall’Ufficio studi della CGIA, l’accertamento fiscale scatta quando i dati forniti dal contribuente (in questo caso le aziende) sono diversi rispetto a quelli in possesso dall’Amministrazione finanziaria. Quest’ultima, infatti, si attiva quando ritiene che l’impresa, ad esempio, abbia sottostimato il reddito o abbia usufruito di detrazioni/deduzioni non dovute.
Ovviamente, la maggiore imposta accertata non si trasforma sic et simpliciter in gettito per l’Erario. A seguito della richiesta di chiarimenti da parte del fisco, le aziende possono ravvedersi, contrattare la loro posizione con l’Agenzia delle Entrate o ricorrere alla giustizia tributaria, intraprendendo un contenzioso con il fisco che potrebbe interessare i tre gradi di giudizio. Afferma il segretario della CGIA Renato Mason:
“Grandi o piccoli che siano, gli evasori vanno perseguiti ovunque si nascondino. Tuttavia, se il nostro fisco fosse meno esigente, lo sforzo richiesto sarebbe più contenuto e probabilmente ne trarrebbe beneficio anche l’Erario. Con una pressione fiscale inferiore, molti che oggi sono evasori marginali diventerebbero dei contribuenti onesti. Ricordo che la nostra giustizia civile è lentissima, la burocrazia ha raggiunto livelli ormai insopportabili e la Pubblica amministrazione rimane la peggiore pagatrice d’Europa: nonostante queste inefficienze, la richiesta del nostro fisco si colloca su livelli elevatissimi e, per tali ragioni, appare del tutto ingiustificata”.
Gli accertamenti e i redditi delle imprese
Tornando ai dati relativi agli accertamenti fiscali eseguiti l’anno scorso, emerge che il numero degli stessi eseguiti sulle piccole imprese e i lavoratori autonomi sia di poco superiore a 140 mila (8,9 miliardi di maggiore imposta accertata), quelli che hanno interessato le medie imprese sono stati quasi 10 mila (3,6 miliardi di accertato), mentre le grandi imprese chiamate a giustificarsi di fronte al fisco sono state oltre 2.200 (2,4 miliardi di accertato).
Tuttavia, se rapportiamo il numero di queste operazioni sul totale delle imprese presenti in ogni singola tipologia dimensionale, registriamo che l’attività del fisco ha interessato il 3 per cento dei piccoli, il 14 per cento dei medi e il 32 per centro dei grandi imprenditori.
Pertanto, essendoci tantissime piccole e micro imprese e poche medie e grandi imprese, parrebbe più sensato rafforzare l’attività accertativa sui piccoli, anziché sugli altri. Anche perché l’attività accertativa su una piccola impresa è più semplice, richiede meno tempo, meno costi ed un numero più contenuto di personale rispetto alle risorse e allo sforzo che si devono impiegare quando si controlla una media e grande impresa.
Diversamente, gli importi della maggiore imposta accertata pro-azienda dimostrano che per le casse del fisco sembrerebbe più conveniente concentrare l’azione di contrasto all’evasione presso le realtà produttive di media e grande dimensione. Sebbene per la macchina del fisco sia molto più impegnativo relazionarsi con questi ultimi, in termini economici non c’è raffronto: i dati degli ultimi 2 anni dimostrano come la dimensione potenziale dell’imposta recuperabile sia, come riportato più sopra, di oltre 1 milione per ogni singola grande impresa, attorno ai 350 mila euro per ogni media impresa e di soli 64 mila euro circa per piccoli e lavoratori autonomi.
La CGIA, altresì, ricorda che secondo i dati delle dichiarazioni dei redditi relativi al 2018, il reddito medio dichiarato delle persone fisiche (ditte individuali e lavoratori autonomi) è stato di 25.290 euro, quello delle società di persone (Snc, Sas, Ss, etc.) 34.260 euro e quello delle società di capitali (Spa, Srl, Sapa, etc.) solo 34.670 euro. Un dato, quest’ultimo, condizionato al ribasso, allorché poco meno del 40 cento del totale delle società di capitali registra un reddito in perdita o in pareggio.
Non solo accertamenti ordinari: dalla lotta all’evasione nel 2018 sono stati recuperati 19,2 miliardi
Sul fronte dell’attività di contrasto all’evasione, oltre ai 152.200 circa accertamenti ordinari effettuati dal fisco nel 2018, si devono aggiungere:
- oltre 1.900.000 lettere per l’attivazione della compliance (richieste di chiarimenti su irregolarità riscontrate o potenziali);
- quasi 252.000 accertamenti parziali automatizzati;
- quasi 531.000 controlli strumentali effettuati dalla Guardia di Finanza.
L’anno scorso dalla lotta all’evasione fiscale l’Amministrazione finanziaria ha recuperato 19,2 miliardi di euro, di cui 16,2 ascrivibili all’attività ordinaria (versamenti diretti 11,25 miliardi, compliance 1,85 miliardi e ruoli ordinari 3,1) e 3 miliardi riconducibili alle attività straordinarie (rottamazione 2,59 miliardi, voluntary disclosure 300 milioni e liti fiscali 100 milioni). Rispetto al 2017 il gettito delle attività ordinarie è aumentato dell’11 per cento (+10 per cento i versamenti diretti, +38 per cento la compliance e +4 per cento i ruoli). In calo del 46 per cento, invece, le entrate dalle attività straordinarie (-87 per cento le liti fiscali, -41 per cento la rottamazione e -25 per cento la voluntary disclosure). Va altresì ricordato che dei 19,2 miliardi recuperati nel 2018, circa la metà di questo importo è costituito da sanzioni e interessi di mora.