Commemorazione del Vajont, il Capo dello Stato sosta sulle lapidi; Dalla diga, l’impegno di Mattarella a far rimanere sul territorio le carte processuali; In giornata anche la celebrazione del patriarca di Venezia e l’apertura della Settimana nazionale di Protezione Civile
LONGARONE La sosta tra le lapidi, l’abbraccio con i bambini del coro, le mani strette ai superstiti, ai sopravvissuti, ai soccorritori. È cominciata così la giornata del presidente della Repubblica a Longarone, per il 60° anniversario del Vajont. E si è conclusa con un appello che ai longaronesi, agli ertani e ai cassesi è suonato come una promessa. L’appello affinché l’archivio delle carte processuali del Vajont resti a Belluno. Oltre al presidente della Repubblica hanno partecipato alle commemorazioni molte rappresentanze istituzionali, tra cui il presidente della Camera Lorenzo Fontana, i presidenti di Veneto e Friuli Venezia Giulia Luca Zaia e Massimiliano Fedriga.
A FORTOGNA
Sergio Mattarella è arrivato al Cimitero monumentale di Fortogna pochi minuti prima delle 11. Ha omaggiato le vittime della catastrofe con una corona di fiori, percorrendo in silenzio il camminamento dal portale monumentale fino alla cappella. Un piccolo fuori programma con i bambini del Coro Arcobaleno, accompagnati da altri cori: in tutto 487 bambini – tanti quanti i piccoli e i ragazzi morti sotto l’onda del 9 ottobre 1963 – che hanno intonato “Stelutis alpinis”, canto di montagna in friulano, armonizzati con la tromba di Paolo Fresu. Tutti i componenti del coro hanno sollevato un cartello, ciascuno con il nome di una delle giovani e giovanissime vittime del Vajont. Il presidente Mattarella ha ascoltato le strofe del canto e poi si è diretto verso i bambini per ringraziarli.
«Il Vajont è quella tragedia che ha fatto emergere la parte peggiore, ma anche la migliore dell’uomo, rappresentata da chi ha messo in campo generosità, coraggio e altruismo. E quindi fare memoria del Vajont significa ricordare ciò che non deve mai più succedere, dico mai, abbandonando progetti che possano portare l’uomo a commettere gli stessi errori, mettendo il profitto davanti a ogni valore etico e morale» ha detto il sindaco di Longarone Roberto Padrin nel suo messaggio al Capo dello Stato. «Oggi lo Stato insieme a noi, insieme alle nostre popolazioni, fa memoria, commemora le vittime e soprattutto guarda oltre quell’onda di morte che rimane indelebile nel cuore di chi è sopravvissuto, impressa nella ricostruzione dei paesi, delle case, ma che ha faticato non poco a rimettere in piedi la comunità distrutta. Quello Stato a cui non possiamo non chiedere che le carte processuali del Vajont, da pochi mesi inserite nella lista del patrimonio della memoria Unesco, restino qui, per rispetto dei superstiti e dei sopravvissuti, e anche di chi ha condotto il processo penale. Uno Stato che attraverso le sue istituzioni, insieme a noi, guarda oltre la tragedia per trasmettere alle giovani generazioni la cultura della prevenzione, del rispetto delle leggi della natura, della sostenibilità ambientale, economica e sociale».
IN DIGA
E proprio delle carte processuali del Vajont ha sottolineato l’importanza simbolica il presidente Mattarella, intervenendo nell’area della diga, alla cerimonia civile. «È opportuno e doveroso che la documentazione del processo rimanga in questo territorio. Quel che attiene alla memoria deve essere conservato nel luogo dove il disastro è avvenuto» ha detto il presidente della Repubblica, intervenendo dopo i governatori di Friuli Venezia Giulia e Veneto. I faldoni dei processi erano conservati a L’Aquila, ma dopo il terremoto sono stati spostati a Belluno, e ora dovrebbero tornare a L’Aquila.
LA CERIMONIA IN CIMITERO
Nel pomeriggio, la cerimonia religiosa di suffragio in cimitero, con i parenti delle vittime e con superstiti e sopravvissuti, celebrata dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia.
«Questo luogo ci ricorda una tragedia nazionale in cui morirono duemila persone perché altre persone non seppero o non vollero calcolare il rischio di una determinata situazione e scelsero di non fermarsi, accettando un rischio che, alla fine, risultò fatale. Si volle osare, andando oltre; si preferì il risultato da conseguire alle vite umane verso le quali si avevano specifiche responsabilità» ha detto nell’omelia il patriarca. «Celebrare questo triste anniversario è qualcosa di dovuto ai morti e ai sopravvissuti perché tragedie come il Vajont non solo non possono essere dimenticate ma neanche, col passare del tempo, devono attutirsi nella memoria collettiva. Si tratta di condannare la scelta di rischiare in nome o del profitto o di una impresa da guinness dei primati, svincolando un progetto dall’etica che comporta dapprima il senso del limite e poi il rispetto delle persone e della vita umana. Bisogna chiedere agli uomini di scienza e ai tecnici di avere il coraggio di non osare oltre il limite, insomma, di sapersi fermare e di imparare a misurare i rischi quando c’è in gioco la vita umana. La tragedia del Vajont sia anche oggi un monito a non giocare con gli equilibri della natura».
SETTIMANA NAZIONALE DI PROTEZIONE CIVILE
Longarone oggi ha ospitato anche il convegno di apertura della Settimana nazionale di Protezione Civile, con il capo Dipartimento di Protezione Civile Fabrizio Curcio, che ha sottolineato come il passato del sistema dei soccorsi sia nato proprio dal Vajont e come il presente e il futuro siano in continua evoluzione. «Non sono cambiate la modalità e la tempestività di intervento, ma oggi ci si concentra molto sulla qualità del post-intervento, per assicurare il più possibile la normalità a chi viene soccorso» ha spiegato Curcio, che prima di lasciare il Bellunese ha effettuato un sopralluogo al cantiere del costruendo Ccs (centro coordinamento soccorsi), nell’area della caserma provinciale dei Vigili del Fuoco.