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REDAZIONE Giovanni Baglioni, figlio di Claudio e Paola Massari in un post pubblico sulla pagina facebook ringrazia il personale dell’ospedale di Agordo per l’attenzione e l’umanità dimostrata durante il ricovero. La riflessione nasce dall’esperienza personale, che ha ricordato come dietro le categorie e le figure professionali ci siano persone, ognuna con il proprio valore. Superando la diffidenza maturata in passato, il racconto elogia la cura e il supporto ricevuti da medici e infermieri, sottolineando l’importanza dell’umanità nel campo medico, piuttosto che il ricorso a facili etichette propagandistiche. Giovanni, sempre più un po’ agordino, e gli agordini hanno un profondo “amore” per quel bimbo nato assieme alla meravigliosa “Avrai” di Claudio Baglioni (negli anni in cui frequentava Alleghe Villa Paganini, Agordo Col di Foglia, Pizzeria da Silvio e…la discoteca La Stua della famiglia Ballis) del giugno 1982, che ancora oggi a distanza di 42 anni viene trasmessa alla Radio Più, cioè la trasmettiamo da 41 anni visto che la Radio si è dedicata “Avrai” il 25 giugno dell’anno successivo, 1983. Giovanni, che abbiamo visto imbracciare la chitarra sui palchi della vallata e che speriamo di rivedere presto tra Broi e pentagramma. (mirko mezzacasa)
….Ci tengo a manifestare la mia gratitudine nei confronti del personale dell’ospedale di Agordo, per avermi preso in cura con attenzione, sensibilità e umanità ancor prima che professionalità. Ma anche, e qui parte la mia elaborazione o digressione, per avermi così ricordato che ogni individuo è responsabile della propria condotta, e ragionare per categorie sicuramente è naturale e in una certa misura utile, ma può distorcere la percezione. Parlo di “categorie” perché i fatti di qualche anno fa, che spero non siano sopiti nella memoria delle persone come ancora sono brucianti per me, e che dovranno essere oggetto di profonda revisione storica, sociale e morale quand’anche non giuridica, mi hanno fatto maturare mio malgrado un consistente grado di diffidenza nei confronti di svariate categorie. Le autorità in genere, i giornalisti, gli esperti (o i presunti tali), i medici.
Nella valutazione delle responsabilità devo però ricordare che i medici, che dovrebbero operare in scienza e coscienza, sono stati defraudati di questa loro fondamentale prerogativa, sviliti e ridotti a funzionarietti e megafoni, chi con le maniere buone degli incarichi prestigiosi, della allettante visibilità mediatica, dei guadagni rapidi derivanti dalla somministrazione delle nuove pratiche obbligatorie, della fascinazione tutta mediatico-cosmetica di essere “angeli in camice” operanti sotto il vessillo tutto ideologico de “laScienza” e festosamente marcianti al passo coreografico di “Jerusalema”; chi altro con le maniere cattive delle minacce del demansionamento o dell’isolamento professionale, dello stigma sociale, della distruzione della credibilità e della carriera, della radiazione.
Ridotti a degli ingranaggi di una macchina che gerarchicamente li schiacciava dall’alto per far di loro una leva e moltiplicare la propria forza con la quale schiacciare più in basso; dei meri esecutori atti e demandati ad applicare acriticamente tutta una serie di dettami, contraddittori dal lunedì al mercoledì, privi di umanità e di ragione, prima ancora che di scienza e coscienza, oltreché di congruità, legittimità e trasparenza.
Ebbene io oggi, grazie a questa dolorosa e calcolosa esperienza, rivivo riconosco e ricordo, come ha scritto magistralmente e molti anni prima di questi fatti il Pedante nel suo “Immunità di Legge” che a tutti indistintamente consiglio, che non esistono “iMedici”.
Non esistono ossia le categorie monolitiche evocate dalla propaganda per condurre tutti al recinto di un’ortodossia di pensiero che non ammette, e falcidia, qualunque eresia.
Bensì esistono “i medici”:
Esiste il dottor Bulf, il cui peculiare cognome fa immaginare un’ascendenza tedesco-lupoide che con un po’ di fantasia si può scorgere nella sua barbetta da lupo mansueto, che consultata la tac con un certo grado di serenità ed entusiasmo afferma “Ce l’ha piccolissimo!”, spero riferendosi al calcolo.
Esiste l’infermiera che mi dice “ma tu sei Giovanni?” e si ricordava dell’antitetanica che ho fatto lì due anni fa quando mi si è conficcato un chiodo arrugginito della prima guerra mondiale nella scarpa.
Esiste l’infermiere che notando la mia destra unghiuta ha intuito il mio essere chitarrista e per rallegrarmi un po’ mi ha raccontato del suo tragicomico trascorso da bassista con il soprannome tutt’altro che lusinghiero di “Pala meccanica”.
Esiste l’infermiere che vedendomi rattrappito e quasi paralizzato in un momento di picco di dolore mi ha rimboccato lenzuola e coperte con la premura e la cura amorevoli di un genitore.
Esistono tutti quelli i cui volti sono già più confusi nella mia memoria per colpa del cocktail senza ombrellino di toradol, fentanex e tachidol.
Non c’è, e spero non ci sarà mai più, bisogno di “angeli in camice”, propagandistica declinazione contemporanea dei giovani Balilla.
C’è bisogno esseri umani e della loro umanità, nient’altro che questo li rende la creazione più grande di Dio.