L’attuale situazione legata al Coronavirus mi ha impedito di fare un salto a fotografare la tabella e la via Giulio Berlendis (dalla Via Giovanni Moro a via Nongole, attraversa i nuovi insediamenti Peep a Castion), il bergamasco di Alzano lombardo (1616-1693) che fu vescovo di Belluno nel 1653 e beneficò con le sue ricchezze la diocesi, istituendo inoltre la commissaria “Berlendis” per le necessità del clero povero e della popolazione indigente (quanto precede è scritto in “Toponomastica di Belluno” edito a cura del Comune trent’anni fa). In compenso abbondano le notizie sul presule, ospitate in internet. Il sito treccani.it/enciclopedia ricorda che era nato il 23 gennaio 1616 e morì nel paese natale il 23 ottobre 1693. Fu nominato vescovo il 6 ottobre 1653 da papa Innocenzo X. E quindi spiega che il nostro era: “… Figlio di Nicolò di Giacomo, ed appartenente ad una famiglia, quella dei Berlendis o Berlendi, della nobiltà bergamasca, finanziariamente prospera per il commercio della seta e l’esercizio dei cambi a Venezia ove possedeva anche stabili” per aggiungere. “Berlendis seguì la carriera ecclesiastica: canonico a Bergamo, dottore in ‘utroque iure’ e in filosofia, priore presso lo Studio di Bologna, ancora a Bergamo, esercitò le mansioni di esaminatore sinodale e inquisitore del S. Ufficio. Nel 1643 partecipò come ‘maggiordomo’ all’ambasciata straordinaria in Francia di Angelo Contarini e Giovanni Grimani, che erano incaricati di congratularsi con Luigi XIV per l’assunzione al trono. Treccani non omette di dire che “Alla influenza del Giustinian, oltre che all’affettuoso appoggio del cardinale Federico Corner, egli dovette se, sin dall’11 maggio 1649 Innocenzo X lo destinò a succedere nel Vescovado di Belluno a G.T. Malloni, morto il 7 febbraio di quell’anno. Trascorsero tuttavia più di 4 anni prima di giungere all’elezione del 6 ottobre 1653 e, due mesi dopo, alla consacrazione”. Finalmente cominciava un’attività episcopale destinata a superare il quarantennio, in una diocesi con 35 parrocchie compresi un arcidiaconato e un arciprerstiteriato. Ma non fu tutto facile, anzi. Il sito della libera enciclopedia Wikipedia ricorda infatti: “… L’amministrazione della Chiesa bellunese, che lo vide impegnato per quarant’anni, fu un incarico assai gravoso: si trattava di un ambiente teso e diffidente, in cui il potere civile si scontrava sovente con quello ecclesiastico; la delinquenza dilagava senza essere punita e il clero era in genere rozzo, più dedito agli svaghi che alla meditazione. Per tutta la durata del mandato il Berlendis si preoccupò di riportare i suoi sacerdoti alla disciplina, con l’emissione di precisi regolamenti emessi da tre sinodi (1655, 1667, 1678) e successivamente pubblicati a Venezia. Per favorire la formazione del clero si impegnò a rivalorizzare il seminario locale, assumendosi personalmente le spese dell’insegnamento di teologia morale da affiancare alle discipline tradizionali”. Ancora: “Di famiglia ricchissima, nel 1662, grazie all’esborso di centomila ducati, entrò nel patriziato veneziano assieme al fratello Camillo e al nipote Nicolò; in quest’occasione il clero bellunese gli dedicò una lapide celebrativa. Nel 1676 finanziò la “campagna elettorale” di Giovanni Sagredo, suocero di suo nipote e aspirante doge. La sua munificenza coinvolse anche Belluno: finanziò i serviti, restaurò il palazzo vescovile, fondò l’Accademia degli Elevati (chiusa dopo la sua morte e riaperta nel 1734 (risorse nel 1734 per opera dell’inquisitore del S. Ufficio a Belluno P.A. Agelli di Forlì – ndr.) come Accademia degli Anistamici; soprattutto, contribuì all’arricchimento della cattedrale, per la quale curò particolarmente l’altare del Santissimo e acquistò un pregevole organo da Daniele de Corde”. Torniamo all’enciclopedia Treccani: ““Se il duomo fu l’orgoglio di Berlendis, i canonici che lo frequentavano – il capitolo era irremovibile, quasi puntiglioso e riottoso nella gelosa difesa delle sue prerogative – costituirono per lui, per tutto il corso del suo lungo episcopato, un fastidio, un cruccio, a volte una pena amara”. E quando a Venezia, nel 1691, il Collegio cui era stato sottoposto il giudizio definitivo a proposito di un conflitto di competenza in cui Berlendis aveva impegnato tutto il suo prestigio, dette ragione ai canonici, egli cadde ammalato nel disappunto né più volle metter piede nella cattedrale per non incontrarsi con loro”. Quindi si vendicò dettando al canonico Pietro de Zuanna l’11 maggio 169 il testamento col quale dispose di istituire la commissaria Berlendis (tuttora in attività) i cui “frutti” sarebbero andati per metà ai preti privi di benefici, purché frequentassero il coro della cattedrale, e per metà a infermi, vedove, prigionieri e donne convertite. Concludiamo con un riferimento all’attualità, esposto nel sito dramis-blogspot dove si può leggere: “A circa 12 chilometri a sud di Belluno… al centro di 90 ettari di terreno agricolo e bosco, c’è il suggestivo complesso cinquecentesco di Crede, che fu anche residenza estiva del vescovo di Belluno Berlendis… E’ composto da un corpo principale a tre piani, sulla cui destra si trovano quelle che erano le abitazioni e le stalle piccole degli abitanti di Crede… sulla sinistra dell’edificio centrale invece c’è l’ex stalla grande con fienile (tabià). Particolarmente interessante poi, sia dal punto di vista storico culturale che architettonico, la presenza di una porcilaia-colombera dalle caratteristiche guglie. Sempre sulla sinistra, ma esterna al complesso, la seicentesca cappella fatta erigere dal vescovo Berlendis e ampliata nel 1893 – secondo centenario della sua morte – dalla commissaria Berlendis (l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che ne amministra il patrimonio per volontà testamentaria). Nel 1982, la commissaria Berlendis affidò a don Gigetto De Bortoli l’incarico di pensare a un nuovo utilizzo dell’importante struttura e dal 1985, dopo i necessari lavori di ristrutturazione e riattamento, Crede è la sede dedla comunità terapeutica ‘Fonte Viva’ del Ceis di Belluno Onlus”.
NELLE FOTO (Sito dramis-blogspot): ritratto di Giulio Berlendis; lo stemma del presule; il complesso cinquecentesco di Crede; la porcilaia-colombera con le caratteristiche guglie; la seicentesca cappella fatta erigere dal vescovo Berlendis; l’interno della cappella.