di Renato Bona
Concludiamo con questa terza puntata la rivisitazione del libro “di donna in donna” – realizzato in occasione di una mostra sullo stesso tema – anche grazie al contributo della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona – nel luglio 1993 (Tipografia Tiziano di Pieve) dall’Azienda di promozione turistica Valboite Cadore con sede a San Vito, per il coordinamento di Mario Ferruccio Belli, organizzazione generale di Giorgio Del Favero e Bortolo De Vido, raccolta e selezione di testi curata da Gloria Fiori e Ivana Barrei, materiale fotografico della Magnifica comunità di Cadore, Biblioteca comunale di Lozzo, Mario Ferruccio Belli, Giovanni De Donà, Giorgio Del Favero, Benito Pagnussat, Famiglia Perini d Borca, Giuseppe Teza; molte e tutte preziose le collaborazioni, in particolare quelle del Museo delle tradizioni popolari di San Vito e di Vittoria Da Pra di Lozzo. Nella presentazione, Franca Bimbi docente di sociologia della famiglia all’Università di Padova nonché presidente della commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità tra la donna e l’uomo aveva inserito la testimonianza di un’anziana contadina – Antonia, nata nel 1912; sposata a 26 anni, 8 figli – che offriva la sua rappresentazione della ‘legge del padre’, rievocando i riti della distribuzione del cibo nella famiglia, che qui di seguito proponiamo integralmente: “… Quando ero incinta mangiavo quello che mangiavano tutti. Beh, sempre stata quella che gli uomini erano serviti meglio delle donne. Loro sempre serviti per primi, perché erano superiori alle donne. Non era giusto neanche una volta. Quella storia là l’ho sempre avuta nella testa. Purtroppo non si poteva parlare, perché allora ti dicevano che eri un po’ mattana, chi diceva: ‘Perché io devo mangiare con due bambini in braccio e uno nella pancia e lui magari senza niente perché era uomo. Perché era un uomo che cosa aveva di diverso? Mio marito mi voleva bene, però queste storie erano naturali… Sì noi si mangiava a tavola, purtroppo c’erano contadini che le donne le mandavano fuori… E tutti gli uomini a tavola, le donne fuori perché erano donne, e i bambini lo stesso, perché disturbavano”. Ed ecco invece cosa ha inserito lo storico Mario Ferruccio Belli, traendo dal suo libro “La guerra in Valle del Boite”, tipografia Tiziano 1991: “… Al momento della nascita di una femminuccia il padre nascondeva difficilmente la sua amarezza. Ancora più delusi, è probabile fossero i vecchi genitori con i quali la coppia di sposi necessariamente conviveva, e anche la nonna parteggiava per un nipote maschio. Se non moriva presto, la piccola trascorreva la sua infanzia come un animaletto domestico,. All’età della scuola i suoi fratelli andavano a imparare a leggere e scrivere, lei, fino ai primi anni di questo secolo, non lo poteva fare. La sua presenza era più utile in cucina, nei campi, a portare l’acqua agli assetati, sui prati, nella stalla. Quando cominciava a essere signorina, età a cui si giungeva senza nessun trattamento di favore per il sesso debole, si ritrovavano davanti a una massa sempre crescente di incombenze: badare ai fratelli più piccoli, cucinare, lavare, filare, tessere, rammendare. Nella campagna doveva lavorare come i maschi: falciare, portare fieno, raccogliere le patate, mietere, guidare le vacche all’aratro. Spesso le donne dovevano anche reggere l’aratro, tagliare i tronchi, portarli con la pesante slitta alla segheria, perché i fratelli o i mariti erano emigrati”. E aggiungeva: “Quando la giovane moglie entrava nella casa del marito, vi trovava molte altre donne: una madre, forse una nonna, certo una o più cognate e zie, così la nuova arrivata era vista come un’intrusa, Nulla poteva lo sposo contro una tale coalizione, non rimaneva che subire in silenzio i rimproveri, le osservazioni, le malignità, i consigli non richiesti, i suggerimenti non voluti, i comandi non desiderati”. E quanto alle gioie del talamo? Ecco ancora Belli: “Fra sposi ci si dava del ‘voi’: questo manteneva i rapporti nuziali su un piano che è difficile definire. Inoltre la giovane, se proveniva da una famiglia dove vigevano abitudini in qualche maniera differenti, veniva come nulla redarguita così da indurla a cambiare in fretta, Intanto è probabile che restasse incinta. Se ne accorgeva la ‘parona’, che forse si rallegrava e forse no comunque non adottava particolari cure per la gestante. Nulla cambiava per una donna in attesa, nemmeno l’alimentazione, nemmeno i ritmi bestiali di lavoro. Gli aborti pertanto non suscitavano meraviglia… Le donne cadorine erano forti, i loro mariti giovani, le gravidanze numerosissime. Si ricordano come normali dodici-tredici e più gravidanze. Le famiglie tuttavia finivano col non essere molto numerose perché la mortalità infantile si portava via i bambini… Tutte erano donne ‘serie’, giacché la rigida tradizione non avrebbe permesso a una qualsiasi ragazza di non esserlo e se proprio una giovane avesse scelto i facili costumi, sarebbe stata immediatamente emarginata e costretta ad andarsene…”. Concludiamo con l’ultimo passo della presentazione della Bimbi: “In questo lavoro, le immagini delle donne ci rimandano al fatto che esse non sono la parte debole ma l’‘anello forte’ della società, poiché tengono assieme il lavoro e le relazioni familiari, la produzione dei beni e la distribuzione giusta delle risorse, anche all’interno di economie della povertà”. Come non condividere anche l’affermazione finale: “le donne più giovani riconoscono in queste immagini il debito verso quelle che le hanno precedute”?!
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “di donna in donna” tutte affiancate da diciture che si richiamano a grandi personaggi della storia): “Fulmineo precipita il frutto di giovinezza…”, Mimnermo – Al modo delle foglie; “Li allattavano con il latte della vacca… ogni tanto passavano a guardarli…”, Nuto Revelli – L’anello forte; “Una donna deve piacere, tacere e stare in casa”, proverbio cadorino; “Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!”, Alessandro Manzoni – I promessi sposi; “…La madre deve aiutare il bambino ad acquisire una certa autodisciplina e molta forza di carattere”, Indira Gandhi – La mia verità; “Castità, abnegazione, sottomissione, sofferenze: gli strumenti sacrificali della donna…” – Vito di Dario, “Oh mia Patria!; “L’altro mondo è l’America”, Carlo Levi – “Cristo si è fermato a Eboli”; “Nella donna… diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità…”, Giovanni XXIII – “Pacem in terris”; “Una donna col grembiule contribuisce all’economia della famiglia più di un uomo col cavallo”, Proverbio cadorino; “Vecchina, gracile, pallida.. dai lineamenti fini…”, Luigi Pirandello – “E domani lunedì”; “Accogliamola di buon grado la vecchiaia e amiamola: può dare tanta gioia a chi sa goderne”, Lucio Anneo Seneca – Lettere a Lucillo; “Ed un lavoro eterno compievano accorte le mani…” , Gaio Valerio Catullo – “Epithalamia”; “Delin delon campanon le campane de Longaron una che canta una che fila, una che fa capei de paia…”, Antica filastrocca che propiziava i matrimoni; “Tu sei innanzi tutto moglie e madre…”, Henrik Ibsen, “Una casa di bambola”; “Andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte, non arriverebbe mai…”, Giovanni Verga – “I Malavoglia”; Mario Ferruccio Belli, il coordinatore del libro “di donna in donna” (foto geosnews).