scritto dal maestro Franco Deltedesco nel pregevole libro edito nel 1995 dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali guidato dal prof. don Sergio Sacco
di RENATO BONA
BELLUNO “Le botteghe artigiane,modernamente attrezzate per la lavorazione del legno, del ferro battuto e dei vari prodotti locali hanno dato una notevole spinta all’economia montana, Esse contribuiscono a tenere la gente legata alla terra d’origine”. Lo scrive il maestro Franco Deltedesco nel suo prezioso libro “L’artigianato del legno e del ferro a Fodóm”, dato alle stampe nel 1995 dall’ Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali guidato dal prof. don Sergio Sacco, con le Officine Bertoncello artigrafiche di Cittadella di Padova. E puntualizzava che: “Da agricoltore e allevatore, anche il livinallonghese è ben presto diventato falegname, carpentiere, fabbro, maniscalco… e nello stesso tempo ‘ingegnere’. Infatti, dopo aver osservato e studiato il legno, il ferro e le varie materie prime, le ha lavorate e plasmate, riuscendo a costruire tutti gli strumenti di cui aveva bisogno. Ed ecco perché queste persone che, nel passato, lasciarono un segno tangibile del loro ingegno, sono ricordate ancor’oggi. Davedino, Ornella, Andraz furono le frazioni che diedero a Fodom il maggior numero di esperti artigiani: Francesco Demarch, Bartolomeo Demarch, Antonio Demarch; Giuseppe Dorigo, Massimino Delmonego; Angelo Roncat, Carlo Daberto, Guido Finazzer, Giacomo Palla, Mattia De Mattia; Giovanni De Lazzer, Adamo Palla, Ingenuino Crepaz, Giuseppe Sottil, Michele Roncat; per le segherie: Francesco Demarch, Bartolomeo Demarch, Giuseppe Roilo; per i mulini: Giuseppe Colli, Ingenuino Crepaz, Felice Roncat, Enrico, Massimino ed Eugenio Delmonego, Giuseppe Roilo; per i ventilabri a manovella: Giuseppe Dorigo, Giovanni Lasta, Bartolomeo Demarch. L’autore a questo punto sottolineava che: “L’attività artigianale era molto diffusa. Ciò ci permette di conoscere l’uomo Fodóm attraverso la sua storia e di scoprire la sua cultura e la sua civiltà: sono le ‘opere d’arte’ uscite dalle sue mani che diversificano la sua civiltà da un’altra e la sua cultura da un’altra. Sono gli oggetti costruiti dal contadino-artigiano e dal montanaro Fodóm, sono queste creazioni, opere di mani esperte e di vivace intelligenza che ci indicano la cultura e la civiltà della piccola ma industriosa popolazione di Livinallongo”. E spiegava: “Oggi che l’economia tradizionale è affiancata e sostenuta da quella derivante dallo sviluppo turistico, si avverte più che mai la necessità di un adeguato sviluppo dell’artigianato che contribuirebbe sicuramente a dare a Fodóm un’ulteriore testimonianza di costume e di vita”. A seguire, il commento della serie di immagini che qui di seguito proponiamo: le botteghe artigiane, modernamente attrezzate per la lavorazione del legno e del ferro battuto e dai vari prodotti locali hanno dato una notevole spinta all’economia montana”; esse contribuiscono a tenere la gente legata alla terra d’origine; gli abitanti delle nostre zone montuose hanno fatto uso da sempre della portantina da schiena (fièrkla) per trasportare a spalla la legna, i mannelli (fasci sottili di steli mietuti – ndr.), i covoni…; per trasportare i sacchi di grano o di farina, i sacchi di patate o qualsiasi carico pesante, il montanaro si è servito della gerla da “marciaiolo”; la vera compagna di vita del contadino è stata però la gerla (cestón), che da sempre è stata usata per trasportare da un luogo all’altro qualsiasi cosa: fieno, terra, letame, legna, patate…; la costruzione della gerla inizia col ricavare d un’asse di legno duro una tavoletta da 25×10 centimetri che servirà da fondo; in essa vengono praticati 15 fori ai quali si raccordano le verghe dell’intelaiatura: sia queste che i listelli flessibili sono di nocciolo; quando sono stati preparati diversi fasci di listelli flessibili, l’artigiano inizia ad intrecciarli attorno alle verghe portanti e per dare alla gerla la forma esatta usa uno stampo a forma di semicerchio schiacciato che inserisce all’interno, a 40 centimetri dal fondo; mano a mano che il lavoro procede, lo sostituisce con una simile di diametro maggiore, che fissa all’altezza dell’attacco delle branche; quindi si prepara l’orlo…; non di rado le branche sono rivestite di striscie di tela o di panno perché non offendano le spalle del portatore. Segue l’interessante sequenza di immagini dedicata a varie fasi di lavorazione del ferro perché “il contadino Fodóm fu essenzialmente artigiano del legno ma non poté fare a meno di imparare a lavorare il ferro” e buona parte degli attrezzi da lavoro che ognuno costruiva con le proprie mani richiedevano l’uso del ferro; oggi i metalli vengono lavorati pure a scopo commerciale per creare caratteristici oggetti in ferro battuto e dal canto suo l’artista modella il bronzo per la sua opera d’arte. A questo punto, immagini e didascalie dedicate agli animali che a primavera e in autunno avevano bisogno di essere ferrati e quindi ”parecchi contadini furono spronati a diventare maniscalchi”; l’animale veniva fatto passare fra quattro colonne, fissato con le corna ad una quinta e sostenuto mediante larghe fascie di cuoio; l’applicazione dei ferri a mucche e buoi era operazione laboriosa e spesso non priva di pericolo; non di rado l’intervento del maniscalco era richiesto ogni tre mesi; maggio, mese che precedeva la monticazione, era ideale per la ferratura e nella cassetta gli attrezzi erano pronti; il maniscalco inizia il lavoro usando le tenaglie “da la gran moltiplika” e con essa asporta la parte di unghia che è in soprappiù; lavorando con tenaglia e martello provvede a piegare le punte dei chiodi verso il basso in modo che risultino perfettamente aderenti allo zoccolo; trascorsa poco più di un’ora, la ferratura dell’animale è terminata ed il cavallo, in questo caso, potrà essere monticato o usato nei vari lavori”.
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