di RENATO BONA
Nel “viaggio” che abbiamo intrapreso qualche settimana fa, forti del possesso di “Un saluto dal Cadore”, l’ottimo libro che per la collana “Vecchie cartoline” (con pezzi pregiati della raccolta Benito Pagnussat) la Nuovi Sentieri Editore di Bepi Pellegrinon ha realizzato la bellezza di quarant’anni fa (stampa Arti Grafiche Tamari di Bologna, foto selezione Monticelli di Padova, coordinamento di Eronda Graphic Design Studio di Belluno), lasciata Cortina d’Ampezzo, siamo approdati “Su, al passo Falzarego, non ancora sbudellato dalla guerra” come scriveva nella dicitura che accompagna la prima fotoriproduzione di questa tappa il collega giornalista de Il Gazzettino Fiorello Zangrando, purtroppo scomparso anni fa. E aggiungeva: “Basta un posto di ristoro per i viandanti da diporto. Lo chiamano ospizio: Il vocabolo può tradurre in inganno, ma contiene una qualche verità semantica: va bene vendere le bellezze, ma occorre anche lo stile, saperci fare”. Ancora “poesia” di Zangrando per commentare la seconda foto: “Ci sono anche le cartoline pitturate. Qualcuno ha l’impressione che la ‘camera’ ottica non basti. Che tavolozza e colori a mano siano strumenti più adeguati. E allora le Tofane viste dal Nuvolau eccole qui, in questa composizione se vogliamo romantica, ma anche densa di sollecitazioni iperrealistiche”. “Certo, scrive per la terza immagine, “salire in cima alle vette, come quella del Nuvolau, non è ancora impresa quotidiana, da poter compiere a cuor leggero. D’accordo che già in cima hanno costruito un rifugio, ma arrivarci è un altro paio di gambe. Tanto è vero che i protagonisti salutano con la manina, per far capire che ce l’hanno fatta”. E aggiunge per la successiva foto: “Si vede bene e si capisce subito che quest’ascensione è messa in scena apposta per il fotografo. Per quanto con tecniche più sofisticaste, sia un sistema destinato a durare nel tempo, fino al nostro. E oltre. Basta un modico sasso, bastano due in costume, e l’arrampicata produce effetto”. Ancora di montagna: “Anche un’ascensione colta in presa diretta può fare spettacolo, e dunque cartolina. Un paio di arditi scalatori affronta la Torre Inglese, una delle Cinque. Per chi non ha mai visto i monti se non per ‘blitz’ da fondovalle, dev’essere meravigliante ammirare questi strani personaggi che vanno su”. E siamo alla cartolina cui è stato dato il titolo: “Oltre il vecchio iniquo confine” accompagnati dalla didascalia che dice: “Certo, non deve essere stato facile mutare, col solo favore di un trattato di pace, una condizione antropologica. Cortina è diventata italiana, ma bisogna farlo sapere a tutti. Servono anche le cartoline, come questa che dice chiaro e tondo che essa si trova oltre il vecchio iniquo confine. E forse era vero”. Seguita da quella intitolata: “Cortina d’Ampezzo italiana” di cui si può leggere: “Bisogna avere un bel coraggio per avventurarsi oltre Pecol, lungo i tornanti della strada delle Dolomiti, con l’automobile. Avere portato la macchina fin quassù e a metà strada una impresa alla Barzini-Borghese e il volo di Louis Blériot. Cortina, sotto, pare infatti un minuscolo punto nell’infinito oceano delle cose”. Il libro non trascura di dare “Un occhio anche verso altre aree dolomitiche, tanto la geografia e la suggestione non seguono le carte topografiche e i confini degli uomini. Selva è un balcone verso l’Agordino. Dalla Forcella Staulanza si può ammirare un’altra montagna stupenda, il Civetta, teatro di memorabili imprese alpinistiche”. Certo, “Non poteva mancare almeno un cappello ‘à cloche’, tenuto fermo da un bel velo che passa sotto il mento della graziosa visitatrice. Selva non è probabilmente ancora un centro turistico di particolare spicco, ma l’idea delle Dolomiti è sufficiente a comprenderla nell’empireo delle bellezze da mandare a memoria”. Ed eccoci alla cartolina (Pompeo Breveglieri) intitolata “Cadore-Monte Antelao m. 3264” per la quale Zangrando annotava: “Il costume indossato dall’alpinista, o dalla guida, è specifico: cappellaccio, piccozza, zaino pesante… Sullo sfondo la distesa del bosco e del prato, più in alto i ghiacci e le nevi sempiterni. Qualche perplessità, invece, dall’atteggiamento del ragazzino sdraiato: ammirazione o no?”. Proseguendo i suoi commenti il noto giornalista scriveva: “Ma neanche la ferrovia scherza. Quando il trenino percorre come un brivido la valle d’Ampezzo, si mette in posa anche lui, col suo bravo baffo di fumo. Per dar meglio la sensazione dell’ascesa, della difficoltà del percorso e della su suggestione, lo s’inquadra mentre sta per entrare in galleria”. Proseguiamo: “Siamo vicino, anche da questa parte, alla vecchia barriera italo-austriaca. Oltre Chiapuzza è il confine di Stato. Passerà poco e il colpo di pistola sparato a Sarajevo da Gavrilo Princip farà sentire la sua eco anche quassù, smobilitando le convinzioni che erano durate secoli”. E siamo a San Vito dove “intanto è giunta un’automobile. Si tira su il sipario e si vede sì lo sfondo del doppio carbonato di calcio e di magnesio, ma il primo piano è servilmente riservato alle quattro ruote della grande fabbrica. A bordo, tutti vestiti, per moda? da ‘safèr’, pardon, ‘chauffer’”. Un riconoscimento nel commento che segue per la foto del rifugio San Marco: “I veneziani hanno avuto una parte assai importante nella scoperta almeno allora ‘non colonizzante’ della montagna dolomitica. Costruirono anche il rifugio San Marco, sulle balze dell’Antelao. Loro che andavano in cerca di emozioni, ci hanno insegnato la voglia di vivere. Noi a loro la compostezza, forse”.