Alessandra Artale con la Editoriale Programma srl ha dato alle stampe nel marzo del 2019 (per i tipi di Media Key editoriale, grafica e impaginazione Marilena Ferrara, coordinamento editoriale Angelo Pastrello) il libro “Miti, misteri e leggende del Veneto”, proponendo una serie di racconti “che fanno parte di noi, della nostra storia, della nostra cultura e del nostro patrimonio” come scrive nella premessa. La provincia di Belluno è presente con: “Il latte di San Mamante”, “Il Mazaròl”, “Vittore e Corona patroni di Feltre”, “L’Om salvàrech”, “Castelli, gemelli e fantasmi”, “El Bus dele Anguane”,”La leggenda delle mele di Faller”, “L’Apostolo delle Dolomiti”, “Il Bus de la Lum”, “I fantasmi della Val Scura” e con La Gusela del Vescova”. Proprio di quest’ultimo capitolo ci occupiamo oggi. Artale scrive che La Gusela del Vescovà, che in italiano è traducibile con ‘ago del vescovo’, è un particolarissimo sperone di roccia che dal massiccio della Schiara si staglia verso il cielo. La sua forma particolare ha fatto sì che nascessero, già dai secoli passati, le spiegazioni più varie e fantasiose. Una delle più famose si perde nella notte dei tempi, giungendo fino a Noè, che si dice scelse proprio questa roccia puntuta per ormeggiare la sua Arca, con buona pace di chi pensa che si trattasse invece del monte Ararat”. L’autrice (laureata a Genova in storia dell’arte, collaboratrice dei quotidiani veneti del gruppo Repubblica-L’Espresso, autrice di vari saggi) precisa che “Un’altra storia racconta che lo spiazzo in cima alla Gusela era il luogo dove le streghe si davano appuntamento per danzare, trascinando con sé le anime dei dannati puniti per aver cacciato nei giorni di festa” e aggiunge: “Il nome Schiara ha origini legate a san Martino, patrono della città di Belluno. Il Santo, che arrivava dalla Svizzera, viaggiò fino ad Agordo e si fermò su una montagna dalla roccia chiara e lucente, da dove riusciva a vedere i ghiacciai delle Dolomiti. Era un luogo che lo affascinava e dove si ritirava a pregare. Ci arrivava a cavallo, che lasciava poi legato a un anello di ferro, la s’ciara, in dialetto bellunese. Ed ecco il miracolo, che non può mai mancare: l’anello di ferro si trasforma in oro e da qui il nome, S’ciara de oro”, in italiano la ‘Schiara’”. Molto interessante, a proposito di Gusèla, uno dei simboli caratterizzanti di “Belluno città splendente”, anche il volume “La Gusèla del Vescovà” realizzato nell’aprile 1985 da Ugo Neri e Franco Fiabane, entrambi scomparsi, ad iniziativa della Libreria Mezzaterra e dell’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali. Accennato alla prima ascensione di tre “crodaioli” il 16 settembre 1913 e riferito del rientrato, per fortuna, “ardito progetto di costruire una rosticceria sulla vetta, Neri-Fiabane ricordano che: “Dalle memorie scovate nella parrocchia di Bolzano Bellunese i cittadini, tra le altre cose, seppero che la Gusèla fino al tardo ottocento si chiamava Pònta de Priéta o Ponta de la Priéta, appellativo nato dalla fantasia dei contadini che vedevano nel disegno della guglia ‘an arte’(una cosa – ndr.) simile alla pietra per affilare la falce (la pria)” e spiegano che: “I notabili dell’epoca, tenuto in sospetto l’atteggiamento contemplativo dei loro mezzadri (sorpresi a fantasticare col naso in aria e con la zappa inerte fra le mani) andarono dal Vicario della Diocesi facendogli presente che Sua Eccellenza Monsignor Vescovo avrebbe gradito l’omaggio di un ago del cielo, per ricamare i sacri paramenti dei preti e che la Priéta, così vicina agli angeli, si prestava benissimo allo scopo. L’idea piacque e la Priéta diventò la Gusèla (ago) del Vescovà e il Vicario assicurò un angolo di paradiso ai generosi notabili e i contadini ripresero a manovrare con vigore la zappa”. E concludono l’introduzione alle pagine con i disegni commentati, sottolineando che: “Il nostro simbolo non merita soltanto il ricordo di dati sterili, forniti da un freddo archivio di provincia, perché esso ha una storia di cui non si può dubitare, vivace e variopinta quanto la sua epidermide, allorché la luce lo tocca con il sorgere del sole. Infatti… Da un cassetto di uno sgangherato tavolino di una casa abbandonata a Scarpòtola delle Valli, a cui aveva messo mano la cupidigia di un solitario collezionista di mobili antichi della gioiosa Marca Trevigiana, sortì come una molla, scrollandosi la polvere di dosso, il ‘martorél’ che sapeva vita, morte e miracoli sulla Guséla del Vescovà. Passato un primo attimo di spavento (e chi non avrebbe sussultato per la sorpresa di trovarsi davanti il ‘martorél’?) l’antiquario, appassionato fra l’altro di ricerche storiche, invitò l’omino a raccontare. E questi, senza farsi pregare due volte, trasse dallo zaino che aveva a portata di mano, uno squinternato quadernetto, sfogliando il quale cominciò la sua lunga fiaba”. Resta da dire – in chiusura – che il ‘martorél’, folletto delle rocce nel racconto , e vivace diavoletto in altri, spiritello inafferrabile in altri ancora, era sempre vestito di rosso e temuto non si sa poi quanto dai bambini cattivi; piuttosto riservato si faceva vedere soltanto nelle favole. Per la fiaba, anche con riferimenti all’attualità, gli interessati dovranno… consultare il libro di Ugo Neri e Franco Fiabane! NELLE FOTO (riproduzioni dai libri “Miti, misteri e leggende del Veneto” e “La Guséla del Vescovà”): l’illustrazione del racconto di Alessandra Artale; la copertina del libro di Neri-Fiabane; i due autori; immagine della Guséla del Vescovà; l’identikit del ‘martorèl’; Guséla in bianconero.