Riceviamo a volentieri pubblichiamo un contributo sulla vicenda Nevegal a firma di Giuseppe Cancemi di Belluno
BELLUNO Premesso che tutti vorremmo un Nevegal risorto o comunque in grado di continuare con le proprie forze, ma non è difficile comprendere che siamo fuori da ogni ragionevole aspettativa. Qualche tempo fa, già si pronosticava un turismo bianco da un futuro nero per le quote più basse dell’arco alpino. A tutti, dovrebbe essere noto che sulle Alpi, al di sotto dei 2000 metri, sempre con meno neve, non è più possibile sciare con piste naturalmente innevate. I cambiamenti climatici fanno sentire il loro effetto e molti comprensori, sappiamo, ne soffrono le conseguenze. La gestione degli impianti ha costi non più sostenibili da tempo. La stagione sciistica si è accorciata, e per necessità di sopravvivenza degli operatori in servizio, si è arrivati ad aperture di stagione ritardate ma con piste dove compare anche l’erba. Gradatamente, si è passati verso un più diffuso innevamento artificiale sostenuto da cannoni sparaneve che economicamente aggravano il mantenimento dell’impianto. La questione Nevegal è politica, e non può essere affrontata in termini demagogici o superficiali, perché è un problema economico, prima di tutto con riflessi sulla vita delle persone: chi vi lavora. Tutti si prodigano per il Nevegal (a parole) ma non mi sembra che alcuno abbia presentato, per la sua continuazione nella gestione degli impianti, uno straccio di “business plan”. In semplici parole, quell’idea imprenditoriale che riesce a spiegare una fattibilità nella continuazione che sia competitiva e sostenibile. Purtroppo, si discute da anni come se fosse un fatto a sé stante e non come tema di interesse territoriale per Belluno. Tutto tra l’altro avviene, tralasciando quello che è l’impasse principale: il cambiamento climatico di questi ultimi anni. La recessione del 2007, oltre al cambiamento climatico, è il punto d’inizio della crisi che avrebbe colpito i comprensori sciistici. L’OCSE (Organizzazione Cooperazione Sviluppo Economico) in una sua ricerca, se ne occupa facendo notare che per il mantenimento di un comprensorio occorre un innevamento della durata di 100 giorni all’anno e un’altezza della neve di almeno 30 centimetri. Altro dato non trascurabile nella complessiva crisi determinata dal clima in montagna, riguarda la temperatura media, la quale per ogni grado in più fa alzare il livello sciabile di 300 metri. E’ un fatto, che per i comprensori sciistici sono in atto un certo numero di chiusure verso fondo valle di chi dichiara fallimento e di altri che fanno proposte di salvataggio con ricorso ai fondi pubblici. Volere ancora insistere nella priorità turistica delle piste da sci, può sembrare più un “accanimento terapeutico” che non altro. La montagna ha tanto da dare e non testardamente per forza un’offerta turistica in perdita puntando quasi esclusivamente su un’attività monocorde. In tempi di transizione sarebbe bene riprendere con
maggiore orgoglio le offerte di eccellenza che offre la natura dei luoghi. Insomma non sarebbe poi così difficile orientarsi verso approcci di più basso impatto ambientale. Vengono in mente: l’accoglienza, l’ospitalità, la vendita di prodotti locali e i servizi per il tempo libero per la bellezza dei luoghi. E il territorio di Belluno, di risorse come quelle accennate, ne ha di primati da offrire.