di RENATO BONA
Leggendo con il meritato interesse il pregevole volume “Documenti di storia. Cadore Zoldo e Alpago” curato da Aldo Belli per l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali e stampato nel giugno del 1978 dalla tipografia Piave (è una preziosa una raccolta di diari: il primo del 1810, l’ultimo del 1947 in cui il tema principale sono le invasioni, ma non mancano riflessioni su emigrazione, costume e calamità) ci siamo imbattuti in una curiosità che ci piace proporre a chi ci segue: padre e figlia Menegus sono presenti con altrettanti diari. Lui che il 25 gennaio 1947 esordisce scrivendo ai nipoti: “Fuori fa molto freddo e il tempo mi permette. Vostro nonno, Menegus Francesco fu Gian Maria di S. Vito di Cadore (prov. di Belluno), nato il 23 settembre 1869 intende lasciarvi il presente ricordo. Non meravigliatevi se nel mio scritto troverete qualche errore. Pensate per prima cosa alla mia avanzata età; poi bisogna osservare che ai tempi ch’io andavo alla scuola il massimo si faceva fino la terza elementare e che nel seguito ho dovuto imparare a mio costo…”. Lei, suor Maria Arcangela, che all’epoca di stampa del volume da oltre cinquant’anni prestava servizio al “Cottolengo” di Torino, che ci ha lasciato uno scritto dal quale il curatore del libro, Aldo Belli, ha scelto “solo ciò che poteva completare la descrizione della figura del padre e delle sue vicende durante il periodo dell’‘invasione”. A proposito di Cottolengo, l libera enciclopedia Wikipedia specifica: “La Piccola casa della Divina Provvidenza, più semplicemente conosciuta come il Cottolengo dal nome del suo fondatore san Giuseppe Benedetto Cottolego, è un istituto di carità con sede principale nel quartiere Aurora di Torino. L’istituto si occupa di assistenza alle persone con disabilità fisiche e mentali, agli anziani, agli ammalati in genere, ai minori orfani o comunque senza famiglia, ai tossicodipendenti, ai poveri senza fissa dimora e agli extracomunitari. In Italia le case di assistenza sono 35, con circa 1.700 assistiti. Nella casa madre di Torino gli assistiti sono 420. Accanto alle strutture per disabili opera l’ospedale, che dispone di 203 posti letto. Tra suore operative e anziane a riposo vivono inoltre nella casa madre oltre 600 religiose. Nell’istituto operano 1.200 volontari dell’Associazione volontariato cottolenghino, che accoglie, in totale, circa 2000 persone”. Qui di seguito cerchiamo di sintetizzare al meglio i due testi e partiamo con Francesco il quale spiega che fin da giovane “ho dovuto incominciare a girare il mondo: dall’età di 14 anni ho dovuto prendermi il fagotto in spalla e a piedi mi portati fino a Dobbiaco, otto ore di cammino, poi presi il treno e mi porti fino a Brunico a lavorare. Costì vostro bisnonno teneva un piccolo lavoro, la costruzione di un canale e costì mi fermai per due mesi. Al 22 dicembre ritornai a casa e andai ad imparare il mestiere di falegname. L’estate andai a far malta e a portare sassi: così usavano a quei tempi per il primo anno di lavoro. Il secondo anno incominciai a lavorare di muratura. Il terzo anno, l’autunno, andai la lavorare con mio padre a Siglian, solo due mesi, e poi seguitai ad andare a imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i 17 anni quando partii col mio bagaglio in spalla e camminai di nuovo fino a Dobbiaco, dove presi il treno e mi portai in Ungheria; proseguii per la Romania (da solo) e mi portai a Bucarest. Poi prosegui fino a Rimini Sart. Costì un mio zio teneva un lavoro di carpenteria per la costruzione d’un ospedale militare e costì lavorai. Dopo due mesi i lavori furono tutti fermi per ‘inverno. Io, non sapendo cosa fare, mi sono messo a fare dei piccoli scagnelli e coperchi da pignatte e li vendevo, fino a che ho passato l’inverno. Finito quel lavoro abbiamo fatto altri lavori in città, ma poi ricordo che tanta era la fatica a fare il lavoro e altrettanta la fatica per essere pagati. Nel 1887 andai a piedi a Buseo. Era già l’autunno. Mi portai da un’impresa che doveva fare un lavoro per rinforzare un ponte. Abbiamo fatto la macchina per battere i pali, ma poco dopo il lavoro fu sospeso. Ritornai a Rimini Sart Quando fu la buona stagione ritornai nella città di Buseo a lavorare per i coperti di due grosse fabbriche, ma con pochissimi guadagni…”. Il diario prosegue per un’altra trentina di pagine per richiamare lavori e non solo: il ponte di Poma a doppia arcata,quello di Cantalupo, l’inaugurazione “con un sigaro” due chilometri di teleferica a Prato Ligure, l’episodio di una “teleferica azionata da un mulo con un occhio bendato e uno cieco”, un ponte sul Po a Trino Torinese, quello sul Sesia, quello di Crescentino, il bacino di carenaggio a Napoli, il ponte su fiume Tronto, la banchina al Molino Stucchi di Venezia, il ponte sul Trebbia, quello sul fiume Acri a Montalbano Ionico. C’è quindi la parentesi della malaria dalla quale fu colpito Menegus che nell’occasione maturò l’idea di andare in America del nord verso la quale partì il 7 marzo 1905. Poi altri importanti lavori in America e in Italia, il ritorno a San Vito dove la casa di famiglia era divenuta Osservatorio militare; la guerra sul Piave, l’invasione e la carestia… Di nuovo lavori a Roncadelle dove c’era la casa, a San Vito, lavori in montagna… Infine, sempre rivolto ai nipoti tutti: “Io attualmente nessuno di voi tengo qui presenti in mia compagnia per poterci raccontare la storia, come fanno tutti i nonni; così io ho pensato a scriverla, che ve la tramanderete, in modo che tutti avete a sapere quale fu la vita che ha passato il nonno vostro. E a voi porgo i miei auguri che Dio voglia che la potete passare meglio di quello che l’ho passata io”. Decisamente più stringato il diario di suor Maria Arcangela che ricorda il padre come persona onesta, amante dell’ordine e della pulizia ch’esigeva al massimo grado. Un Aneddoto: “Avendo trovato 10 lire, mentre contenta pensavo di tenerle, il papà m’impose di portarle immediatamente al parroco affinché le rendesse al padrone… Non si stancava di inculcarci l’amore alla sincerità e l’orrore ai raggiri e alle doppiezze. Ancora: non transigeva in fatto di religione, vigilando perché si andasse alla santa Messa e si frequentasse il Catechismo…Tutte le sere ci faceva la lettura del Vangelo e della storia Sacra per circa un’ora dopo di che, recitando il santo Rosario e le preghiere ci mandava a letto. Un ricordo anche di quando le truppe italiane nella ritirata “invasero la nostra casa, che ospitò in tale contingenza circa 200 ufficiali…. L’indomani fummo spaventati dagli allarmi della ritirata e venne minato anche il ponte di Piave; mentre terrorizzati si attendeva il nemico “il papà ci incoraggiava alla preghiera e alla confidenza in Maria santissima”. Ultimi ricordi della ritirata: “…desideroso di recare soccorso, mio padre uscì un giorno accompagnato da me e potemmo scoprire tre arditi italiani gravemente feriti; li trasportammo in canonica con grande delicatezza e dopo aver ricevuto gi ultimi Sacramenti dal reverendo Arciprete, morirono tranquilli”. E quello dei giorni in cui “Papà mi invitò ad accompagnarlo a Roncadelle per vedere la nostra casa… vedemmo tanti cadaveri in putrefazione, il palazzo della zia ridotto in macerie, la nostra palazzina mezza distrutta, la casa colonica rasa al suolo… Entrata in una stanza, vidi mio padre in ginocchio che pregava davanti al cadavere di un capitano, quindi ne recuperò i documenti: era un milanese che aveva una bambina; la famiglia fu avvertita e venne a recuperare la salma…”.
NELLE FOTO (Wikipedia, Biblioteca Gregoriana del Seminario di Belluno, Emilio Dal Farra e riproduzioni dal libro di Aldo Belli “Documenti di storia. Cadore Zoldo e Alpago”): il cadorino Giuseppe Meneguz Pelà; sua figlia, suor Arcangela, impegnata per mezzo secolo al “Cottolengo” di Torino; carpenteria: vari tipi di centine usate anche da Menegus; macchina per battere i pali (Diderot-D’Alambert, Encyclopédie, Livourne 1770); cassone per fondazioni; ponte sul Sesia nei pressi di Casal Monferrato; Crescentino: ponte sul Po; immagine esterna del Cottolengo; il fondatore della benemerita istituzione Giuseppe Benedetto Cottolengo.