A metà luglio i ghiacciai delle Dolomiti si presentano ricoperti ancora in gran parte dalla neve invernale, alimentata anche dalle nevicate del 12 e 15 luglio. La neve del mese di luglio si presenta color bianco latte e nasconde in parte la vecchia neve, ricca di deposizioni di sabbia del deserto delle nevicate di fine inverno, che la danno un colore rosato, e di depositi di pollini, principalmente degli abeti rossi, caduti in grandi quantità a maggio.
Quest’anno sulla superficie del manto nevoso è abbondante e diffusa la presenza di una alga verde, la Chlamydomonas nivalis, che assume un colore rosso dovuto al brillante pigmento carotenoide rosso, che protegge il cloroplasto, parte della cellula in cui avviene la sintesi clorofilliana, dalle intense radiazioni visibili e ultraviolette quando l’alga si trova vicino alla superficie del manto nevoso (5-25 di cm di profondità).L’effetto della neve colorata ha accelerato la fusione dello strato superficiale del manto nevoso invernale anche lungo i ghiacciai delle Dolomiti. Questo processo è stato rallentato dalle precipitazioni nevose di luglio. Il manto nevoso bianco latte, che riflette una grande quantità di radiazione solare (90% nel caso di neve fresca), ha così rallentato la fusione superficiale della neve e del ghiaccio sottostante.
Proteggere la neve
Anche il ghiacciaio della Marmolada, come il ghiacciaio del Presena (TN), ha delle superfici di neve ricoperte da teli bianchi in geotessile. I teli sono costruiti in materiali che riflettono oltre il 60% della energia solare che arriva, rispetto al 40% riflesso da una neve vecchia senza protezione. Quindi, oltre alla protezione fisica della neve, viene accumulata minor energia e la fusione del manto nevoso è più lenta. Questo metodo, utilizzato già dal 2008, ha dato ottimi risultati nel mantenimento da una stagione all’altra della neve invernale.
Alcuni numeri
Negli ultimi 30 anni, si contano 22-27 giornate nel mese di luglio con precipitazioni nevose che hanno ricoperto i ghiacciai delle Dolomiti, favorendo questo processo.
La seconda decade del mese di luglio 2020 è stata la terza più fresca in quota dal 1990, preceduta solo da quella del 1999 e del 1992. Anche il mese di giugno 2020 è stato il più fresco dal 2000. Questo andamento delle temperature ha ulteriormente favorito, rispetto agli anni scorsi, una fusione più lenta della neve invernale.
Le prime elaborazioni delle precipitazioni nevose in quota relative a dicembre, gennaio e febbraio dell’ultimo decennio, evidenziano una quantità di neve nella norma rispetto al periodo di riferimento 1961-90. Lo stesso non avviene alle basse quote e nei mesi di marzo e aprile, carenti di precipitazioni nevose. A questa “normalità” di precipitazioni nevose dell’ultimo decennio per il trimestre dicembre-febbraio, si sono contrapposte temperature particolarmente miti nei periodi primaverili o di inizio estate che hanno sempre accelerato lo scioglimento della neve.
Lo studio del permafrost a Piz Boè
Il permafrost è la parte di territorio dove il suolo è perennemente ghiacciato, a partire da quote di 2600 metri. Il Centro Valanghe Arpav di Arabba ha una stazione meteorologica permanente sul gruppo montuoso del Sella al Piz Boè (2900 m) per lo studio di questo territorio. Attraverso un foro di circa 30 metri praticato sul terreno si segue l’andamento della temperatura del suolo a diverse profondità.
Quest’anno si osserva un aumento delle temperature nel mese di aprile e un riscaldamento rallentato nel periodo successivo e nel mese di luglio. Lo strato attivo del Piz Boè, ovvero la parte superiore di roccia che gela durante l’inverno e che si scioglie durante l’estate, è a circa 4 metri di profondità ma con temperature meno calde dei 5 anni precedenti. Tendenzialmente e prudentemente si potrebbe indicare che i possibili crolli delle pareti rocciose dovuti alla diminuzione del permafrost, in quest’anno, potrebbero essere più frequenti verso la fine dell’estate, quando i valori di temperatura della roccia saranno maggiori a causa del caldo estivo.
Studio della temperatura del suolo attraverso il foro di circa 30 metri a Piz Boè. Anni 2012 – 2020
La differenza tra le diverse annate in termini di temperature rilevate a diverse altezze è ben visibile in prossimità della superficie, per poi unificarsi verso i 15 metri di profondità.
Questo studio delle temperature serve per comprendere l’evoluzione del permafrost alpino nel breve periodo e dello strato attivo superficiale.
L’Ufficio Valanghe del Centro Arpav di Arabba continuerà a monitorare le nevicate a bassa quota, l’andamento delle temperature del Permafrost e l’evoluzione della neve/ghiaccio del piccolo lago sottostante la stazione di monitoraggio del Permafrost (Lech Dlacé) che attualmente si presenta ancora ricoperto di neve.