di RENATO BONA
Daniela Perco curatrice nel 1991 con la Libreria Pilotto editrice di Feltre, per la Comunità montana feltrina ed il Centro per la documentazione della cultura popolare, del prezioso volume “Malgari e pascoli. L’alpeggio nella provincia di Belluno” stampato dalla litotipografia “Beato Bernardino” di Feltre, si è occupata in prima persona del capitolo “I malgari della Val Belluna”. In premessa spiega che “le strategie produttive nella Val Belluna sono state condizionate, come in altre aree di montagna, dalla scarsità di terreni coltivabili e dalla buona disponibilità di zone di vegetazione erbacea”. Situazione che “ha consentito lo sviluppo di un’economia agro-pastorale in cui il numero degli animali allevati era legato sia alla produzione di foraggio a fondo valle, sia alle risorse dei pascoli montani” . Quindi spiega come si perfezionavano appalti e contratti: quasi tutte le malghe (casère) di grandi e medie dimensioni della Val Belluna erano affittate con scadenza settennale o novennale mediante aste pubbliche. L’autrice illustra poi le salite all’alpeggio (“cargàr montagna”) per soffermarsi quindi su “La figura del malgaro”, sottolineando fra l’altro che il “capo vachèr” o “condutor de montagna” dava le direttive per il pascolo e per la corretta gestione della malga: “gli competevano in genere turni più limitati di sorveglianza, specie quando doveva anche provvedere alla produzione di latticini. Era addetto alla preparazione del cibo per sé e per gli altri, alla pulizia della malga, alla mungitura. Talvolta era affiancato da un aiutante casaro. Aveva una profonda conoscenza dell’ambiente naturale in cui si trovava, frutto di ripetute osservazioni ma anche di consuetudini antiche tramandate dai vecchi. Individuava con precisione le erbe dannose per i bovini e gli erano noti gli effetti che queste producevano…”, ma – aggiunge – era soprattutto nella cura delle malattie a cui andava soggetto il bestiame che il malgaro utilizzava un complesso e articolato bagaglio di cognizioni di carattere botanico e zoologico , evidenziando anche una certa abilità chirurgica”. Di seguito Daniela Perco dedica giustamente, spazio alle “Donne in montagna” per le quali l’alpeggio ad alte quote su malghe di grandi dimensioni, diffuso nelle Alpi Feltrine e Bellunesi “non prevedeva la partecipazione delle donne dei malgari, che rimanevano in paese per badare ai lavori dei campi e per la fienagione”. E spiega: “Lo sfruttamento dei pascoli e l’organizzazione del lavoro erano diversi, sui rilievi delle Prealpi Feltrine e Bellunesi. Pur essendo presenti forme di alpeggio come quelle praticate nei pascoli di alta quota, con un numero elevato di bovini appartenenti a diversi proprietari, erano prevalenti le malghe a conduzione privata”. In questo contesto – evidenzia la Perco – le donne avevano un ruolo molto importante: “costituivano l’unico referente certo per le attività legate al bestiame. Gli uomini scendevano spesso al paese per la fienagione e per il lavoro nei campi, oppure facevano i boscaioli o falciavano i prati di montagna. La sorveglianza agli animali (pochi capi bovini di proprietà della famiglia o di parenti e conoscenti), la scelta del sistema di pascolo, la mungitura, le attività casearie, spettavano alle donne, coadiuvate dai figli piccoli”. Ancora: “Le donne in montagna dunque, oltre a farsi carico della gestione della casa e della famiglia, intensificavano le attività legate agli animali e alla trasformazione del latte, di cui erano già responsabili durante il resto dell’anno. I ritmi di vita sui pascoli delle Prealpi Feltrine e Bellunesi erano più vicini a quelli del paese, anche per la presenza di numerosi nuclei familiari, dislocati in aree di pascolo contigue. Erano frequenti le riunioni serali all’aperto o nelle stalle e forme di reciprocità nel lavoro. I rapporti con il fondovalle erano continui e consentivano lo smercio dei prodotti caseari e l’acquisto del necessario per vivere”. In questo contesto di “majolère” o casère private, il prete passava a benedire il bestiame e col sacrestano riceveva due uova da ogni famiglia. E l’8 settembre, data fissata per la discesa dai pascoli di montagna (“descargàr montagna”) per le malghe in cui si praticava la conduzione associativa dell’alpeggio (presenti pure nelle Prealpi) “costituiva un’importante scadenza anche per le famiglie che si trattenevano fino all’inverno”. Così ad esempio, all’alba di quel giorno, uomini e donne partivano dai pascoli del Grappa per partecipare alla festa della Madonna del Pedancino a Cismon del Grappa, detta anche la “festa dei vachèr”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Malgari e pascoli. L’alpeggio nella provincia di Belluno”): avviso d’asta per i pascoli dei monti Ere e Palia nel comune di San Gregorio nelle Alpi (archivio privato Feltre); anni ‘20: casèra Reselé col tetto a “foiaròi” (foto Antonio Bassani, raccolta Biblioteca Seren del Grappa); malgari sul Campon d’Avena (raccolta Biblioteca comunale Pedavena); campanacci in bronzo per bovini (collezione Museo delle tradizioni popolari Cesiomaggiore, disegni di Patrizia Pizzolotto); campanacci in ferro; il malgaro Arsenio Brandalise detto Rondello per decenni conduttore della casèra di Erera Brendol sulle Vette Feltrine (collezione Enrico Brandalise); malgari della Val Belluna, Busa delle Vette e Col dei Cavai, Monte Grappa e Schievenin (foto Sisto Belli 1980 e Daniela Perco 1976 e 1980); il capo dei “vachèr” Arsenio Brandalise con le secchie da mungitura ed un altro malgaro a Erera Brendol anni ‘40 (collezione Enrico Brandalise); personale della casèra Erera Brendol sulle Vette Feltrine negli anni ‘40; malgari della casèra Caneva, fra il monte Serva ed il Pelf, sopra Caiada, nel 1938 (collezione Michele Casssol); Tarsilia Scariot sul Monte Grappa (Bocchette di Cima) mentre prepara gli strumenti per fare il foraggio (foto Marco Rech 1991); recipienti per mungitura e produzione del formaggio messi ad asciugare dopo un’accurata pulizia, siamo a Prassolan, Monte Grappa (foto Daniela Perco 1991).