SAN TOMASO 30/31 DICEMBRE 1996
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“…cosa facciamo l’ultimo dell’anno…? Il fondamentale quesito veniva espresso generalmente intorno ai Santi. Come e dove trascorrere il Capodanno era questione di vitale importanza, capace di generare impegnativi dibattiti e proposte varie. Quell’anno proposi la location di San Tomaso Agordino. Avrei messo volentieri a disposizione la casa dei nonni, e la proposta venne accolta di buon grado. Ormai eravamo avvezzi alle feste di Capodanno un pò avventurose e così mettemmo in moto la macchina organizzativa peraltro già ben rodata. Il tutto oltre un mese prima dell’evento perché eravamo previdenti. Passarono le settimane fra liste di invitati e liste della spesa. Forse era più facile varare una Finanziaria, ma dai e dai, a forza di fare e disfare, risultavano perfino precise e realistiche. Finalmente arrivò il trenta dicembre e di buon’ora salii a San Tomaso con mamma e papà guidando sulla 203 incrostata di “brosa”. Faceva un freddo becco e preparare la casa per la festa fu una bella sfacchinata. Accensione del “fornel” e della cucina economica, e poi via a pulire e montare gli addobbi che aveva comprato mia mamma. Verso l’una riportai la madre a Belluno mentre papà si era fermato a Cencenighe dove avrebbe pernottato. Il pomeriggio mi ritrovai con gli amici per organizzare gli ultimi dettagli, e nel mentre ci balenò l’idea di andare “in sù” per anticipare la festa. Partimmo in cinque con due macchine appena venuto buio. A San Tomaso c’era un bel freddo, si era intorno ai 12°sottozero e non c’era neve. Trovammo un piacevole tepore in casa e la serata passò in allegra tranquillità, con il giusto bere ma senza eccesso alcuno. Poi ci sistemammo per la notte: io sul fornel, gli altri e le altre sparsi per casa su divani e giacigli vari. Fu in quella occasione che gli amici scoprirono il fornel, che destò parecchia curiosità. Durante la notte iniziò a nevicare. Verso le nove la neve scendeva a “straze” ed il manto bianco cresceva quasi a vista d’occhio. Fu in quei momenti che intravidi un’ombra scura avanzare nella tormenta nei pressi del tabià. Pareva un soldato dell’A.R.M.I.R. sotto la neve della steppa Russa. Era papà che era passato a salutare e fare gli auguri prima di tornare a Belluno. E come fosse riuscito a salire a San Tomaso, con la Tipo gommata Goodyear estive mezze consumate e senza catene, lo sa solo lui. Un mistero tutt’ora irrisolto. Dopo pranzo la linea telefonica “cabina in piazza a Cencenighe – telefono grigio con la rotella di San Tomaso” si fece rovente. In verità avevamo pure ben due telefoni cellulari. Ma praticamente mancavano i ripetitori e quindi il telefono con la rotella risultò fondamentale. Feci un paio di viaggi con la Panda 750, dotata di mitiche gomme chiodate e bianca come la neve che scendeva copiosa, per recuperare gli amici a “Cence”. Nevicava sempre più forte, gli spazzaneve facevano fatica a tenere percorribili le strade ed era un vero piacere affrontare il vecchio incrocio per San Tomaso. All’imbrunire arrivarono gli ultimi due amici e la festa ebbe ufficialmente inizio. Le nostre care ragazze furono straordinarie: prepararono squisite cibarie perfette per un Capodanno indimenticabile. Tartine, piadine, panettoni ripieni, lenticchie e zamponi. Una meraviglia culinaria. Fu una festa senza eccessi, godendoci in pieno quel clima di vera amicizia che c’era fra noi. A mezzanotte l’immancabile brindisi e baci ed abbracci. Qualcuno telefonò a casa per fare gli auguri alla famiglia con il telefono grigio con la rotella. Poi ebbe inizio la mitica passeggiata fino a Celat sotto una nevicata imponente. Qualcuno rimase a casa, io ed altri percorremmo i due km di strada che ci separavano dalla piazza del paese. Tocol pareva un presepe, illuminato com’era da magiche luminarie. La piazza era un sogno innevato ed ancora si sentivano spari di petardi e fuochi artificiali dalle parti di Alleghe. Tornammo verso casa e, non ancora sazi di neve, camminammo ancora, stavolta in discesa verso Cencenighe. Saranno state circa le due quando rientrammo a casa. Qualche brindisi ancora e poi la festa incominciò a scemare. Riuscimmo addirittura a dormire, per modo di dire, per due o tre ore. E come fossimo riusciti a farlo non si è ancora capito. Come non si è ancora capito come fossimo riusciti a stare in dodici in due piccole stanze. Misteri dei vent’anni. La prima mattina del 1997 si presentò in modo spettacolare: smise di nevicare ed uscì un bel sole. Furono oltre sessanta centimetri di neve fresca. E c’era ancora uno splendido clima di amicizia in casa. Disseppellimmo la Panda e riportai gli amici a Cencenighe. Ci salutammo e si avviarono verso Belluno. Poco dopo mezzogiorno, come un vero capitano della nave, lasciai per ultimo la casa di San Tomaso insieme a due amiche ed un bagagliaio pieno di squisiti avanzi della festa. Belluno mi accolse con una quarantina di centimetri di neve che scintillava al sole. Iniziò così uno splendido 1997 e la sera del primo giorno dell’anno fu un ritrovarsi ancora una volta con gli amici di sempre. C’era amicizia, c’erano neve ed allegria. C’erano i magici vent’anni.