LA CASA SULLA COLLINA
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Abitava nella casa sulla collina, quella sopra la provinciale. Robusto, poco più che trentenne, cordiale ma di poche, pochissime parole. Era la sera di un Capodanno di neve e silenzi. Lassù non arrivava mai il clamore delle grandi feste anni ’80. C’era silenzio e basta. Anche l’ultimo giorno dell’anno. Una sera d’inverno come tante, fredda e con mezzo metro di neve a coprire quel mondo semplice. Una sera diversa solo nell’orario dell’andare a dormire. Qualche “ciacola” quasi sottovoce, l’appisolarsi sul fornel, la terrina di “bagigi” e la Carrà in bianco e nero. Non erano nemmeno le undici quando decidemmo di uscire. Le scarpe grosse, la giacca a vento nera, i guanti rossi come il berretto. In corridoio era già inverno, fuori dalla porta 12° sottozero e la neve ghiacciata illuminata dalla fila di lampadine colorate appese sulla ringhiera del “soler”. Tirava la pelle del viso mentre salivamo verso la strada, con la luce della pila che tagliava quel buio gelido e faceva scintillare il ghiaccio che copriva gli scalini. Ancora uno sforzo in salita ed in breve arrivammo nello spiazzo davanti all’entrata della casa sulla collina. Lui era lì, con un pesante maglione di lana, la camicia a quadri e i jeans. All’orizzonte le luci di Alleghe, la Via Lattea ed il Pelsa vestito di neve. In mano teneva la scaccia-cani. Assomigliava ad una una pistola vera, come quelle dei telefilm. Forse addirittura lo era. Chissà. Ci salutammo con un cenno del capo, poi vidi le dita robuste posare con delicatezza un piccolo cilindro sulla canna. Faceva freddo, molto freddo, lui era impassibile e noi attendevamo impazienti. Puntò verso il cielo, leggermente inclinato verso Alleghe. Il boato ruppe quel silenzio di ghiaccio e neve. Pure il Pelsa parve svegliarsi, e si mostrò in tutta la sua eleganza illuminato dalla luce bianca del tracciante che, dopo essere salito verso il cielo carico di stelle, ora scendeva lento rischiarando le case, gli orti coperti di neve, lo “stradon” e la “brenta”. Pochi minuti più tardi un altro boato ed ancora luce bianca ad illuminare i tetti delle poche case. Poi fine dello spettacolo e ritorno del profondo silenzio di quella gelida sera di Capodanno. Nella “stua” le dita rianimate dal freddo ritornarono ad aprire i “bagigi” le cui scorze finivano dapprima sull’Amico del Popolo e poi nella cucina economica. E la Carrà in bianco e nero ballava e cantava e fuori la neve rifletteva la luce intermittente delle luminarie. Il botto del tappo della bottiglia di spumante che avrebbe celebrato l’anno nuovo. Una fetta di panettone Motta. Poi sarebbe stata un’altra notte d’inverno. Di neve ghiacciata aldilà dei vetri e di stelle sopra il Pelsa…Magiche Dolomiti!!