VALLE DEL MIS
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La prima volta che approdai in Valle del Mis avevo tredici anni. Era un pomeriggio di metà gennaio, c’era poca neve e la Panda 750 la guidava mio fratello. Superato il lungo curvone che introduce nella valle, l’atmosfera si fece cupa nonostante fossero soltanto le due. Incontrammo subito la diga alta e severa e poi percorreremo con prudenza le buie gallerie. Ci fermammo appena superato il ponte della Falcina. L’ambiente era tetro, il lago scuro e semicongelato. I ripidi versanti boscosi addormentati nel silenzio dell’inverno. Sostammo poco, forse una decina di minuti in perfetto silenzio. Poi mio fratello disse che “…chesto le el posto giust par se suicidà…”. Magari fu un pò cruda come affermazione, ma l’ambiente austero ci mise davvero soggezione quel giorno. Risalimmo in macchina, la Panda riprese la strada di casa ed in breve fummo nuovamente nella ridente Valbelluna baciata dallo stanco sole di gennaio. Passarono tre o quattro anni e in un caldo pomeriggio d’estate ritornai in valle. Stavolta in bicicletta in compagnia di due amici. Le gallerie ci misero un pò in difficoltà a causa della mancanza di illuminazione, ma per il resto fu un bella esperienza. C’erano i turisti che prendevano la tintarella sotto il ponte di Gena e dovemmo pure scavalcare un boa uscito dalla porta posteriore di una Ritmo blu. Ancora una volta questa valle si mostrava piuttosto particolare. Visitammo le cascate della Soffia e intravidi quei villaggi abbarbicati sui ripidi pendii dei Monti del Sole. Gena Alta, un mistero situato quattrocento metri più in alto, destò la nostra curiosità ma quel giorno non salimmo la ripida strada. Gena Bassa, invece, era il luogo dove ci trovavamo, ma a parte il bar e la chiesetta, non c’erano altri edifici che testimoniavano l’esistenza di quella frazione ormai fantasma. Sapevo soltanto che era stata sommersa nei primi anni ’60 dalle acque del lago artificiale. Una sorta di Atlantide dolomitica, i cui resti erano l’antico ponte di pietra che emergeva dalle ghiaie della coda del lago e i muri della vecchia carrozzabile. All’uscita del ponte di Gena una sbarra bianca e rossa interrompeva la strada. Chissà cosa c’era oltre quella sbarra di ferro. Papà per lavoro si inoltrava abbastanza spesso lungo la valle e la conosceva piuttosto bene. A volte mi raccontava del carattere selvaggio di quei luoghi abbandonati dopo la tragica alluvione del 4 novembre 1966. Poi passarono un paio d’anni e fresco di patente finalmente percorsi l’intera strada del Canal del Mis. Era stata inaugurata da pochi mesi e rimasi impressionato dalle ultime due gallerie scavate nella roccia viva. Poi, complici le periodiche chiusure della 203, la provinciale del Mis divenne un percorso abituale che ad ogni passaggio sapeva regalare qualche curiosa novità paesaggistica e storica. Papà mi diceva sempre che “…bisogna percorrerla a piedi la valle per capirla…” Anni dopo seguii il suo suggerimento.
Occorre la lenta velocità del passo per poter affermare di conoscere la selvaggia asprezza della Valle del Mis. È necessario insistere con l’automobile oltre il ponte di Gena, situato nel punto dove l’acqua del lago ritorna ad essere torrente, percorrendo poi la rotabile per pochi chilometri fino a giungere nel luogo preciso ove la Valbelluna diventa Agordino. Parcheggiare la vettura nello spiazzo di ghiaia della Stua, di fronte ai resti di quell’osteria di frontiera. Osservare la scritta su quell’antica parete che tanta storia custodisce e racconta. Poi iniziare il cammino lungo il nastro d’asfalto che si snoda sinuoso lungo la severa valle. È bene fermarsi di tanto in tanto ed alzare lo sguardo su quelle aggettanti pareti che salgono quasi con violenza dalla ciglio della strada. Osservare quei ripidi pendii boscati da dove scendono rumoreggianti cascate di acqua cristallina. Inoltrarsi in quei corti budelli semibui scavati un secolo fa nella viva roccia, opere che affascinano e talvolta intimoriscono coloro che per la prima volta si ritrovano a percorrere la strada provinciale. Poi interrompere nuovamente il cammino, chiudere gli occhi ed ascoltare la voce del Mis. Carpire l’anima inquieta di quell’acqua che scorre fra i massi ciclopici che durante le ricorrenti “brentane” vengono spostati dall’inaudita forza del torrente. La si riesce a percepire quella potenza nascosta, lo si riconosce quel celato impeto che cinquantaquattro anni fa, in poche ore di furia sfrenata, cancellò quel sogno chiamato California ed inferse un colpo mortale alla vita della valle. Infine giungere dove il Canal del Mis si rinserra trasformandosi in angusta gola dove le strapiombanti pareti di roccia arrivano quasi a toccarsi. È in questo punto che la valle mostra davvero la sua vera anima aspra e selvaggia. Oltre le ultime gallerie un breve tratto di strada ci conduce al ponte di ferro. È qui che si apre il malinconico mondo perduto di California. Altre importanti storie ci attendono aldilà del ponte…Magiche Dolomiti!!