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L’ACQUA CHE NON C’ERA
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E chissà com’era quel tempo di neve, un tempo. Sembra di sentirlo sulla pelle il calore del fiato delle vacche chiuse nella stalla. Lo scricchiolio del fieno nella “carpia”. Il suono metallico della catena. Il rumore dei “candoi del lat”. Fantasmi di uomini e bestie che vivevano in questo piccolo mondo fuori dal mondo. I campi, invece, dormivano sotto la prima neve di dicembre. E poi vociare di bambini che ogni giorno “i dea a scola a Zenzenighe” passando per “Prademez” la “Roa” e per quel Palù che allora “l’era solche camp”. Erano piccoli uomini quei bambini che scendevano lungo la mulattiera alla luce del “feral”. Scendevano col buio e risalivano accompagnati dall’ombra che era già scesa sulle case prima di mezzogiorno. E freddo e piedi bagnati da “sugà sul larin”. E poi ancora bianco di neve e luci stanche di candele e lampade a petrolio. Boschi silenti, camini fumanti e la meridiana che non scandiva più il tempo dilatato e silenzioso di un’altra notte di gelo e stelle sopra il Pelsa. È una dolce melodia quella cantata dalla fontana vestita di neve. Una musica cristallina e gentile. Che nessuno ascolta. Sono poche, pochissime le persone che arrivano nel borgo abbandonato che guarda il Pelsa. È un cantare solitario quello della nuova “brenta” di larice. Ed è un destino strano e beffardo quello toccato al Villaggio Silente. Quando c’erano le persone ad abitare le antiche case mancava l’acqua. Ora c’è l’acqua e mancano le persone da oltre sessant’anni. Un tubo di ferro ed una vasca di pietra posta ai margini del bosco. Una fonte stanca, un filo di acqua con le “tòrkole”. E d’inverno il nulla quando il terreno ghiacciava e diventava duro come l’acciaio. Scioglievano la neve per poter abbeverare le bestie e fare la polenta. Una ventina di persone ed un “naf” ghiacciato d’inverno. E campi di terra fina ottima per le patate ricoperti di neve. Poi, dalla fine degli anni ’50, l’oblio. Oggi soltanto il silenzio di un mondo che non serve più e spettri che si aggirano fra le vecchie case: fantasmi che non parlano, non raccontano. Osservano quelle travi incurvate ricoperte di neve ghiacciata e cercano con lo sguardo l’ormai quasi scomparsa meridiana. Sospirano guardando i prati imbiancati e nelle lunghe notti d’inverno ascoltano il dolce e malinconico canto dell’acqua che non c’era. Pradesora 17/12/2020.