‘NA MATINA DE GONF
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Era un mondo grigio quello che si presentò quella mattina di fine dicembre. Da sotto il piumone, attraverso la finestra che dava sul Pelsa, avevo assistito al nascere di un nuovo giorno di neve. L’alba non era ancora terminata quando mi alzai e mi vestii più in fretta che potevo. Scesi le scale di corsa ed arrivai in cucina dove trovai un piacevole calore di legna ed una scodella di caffelatte lasciata a riscaldare sul margine della piastra della cucina economica. Il nonno stava iniziando i preparativi per l’accensione del fornel, la nonna, seduta sulla sedia accanto alla finestra, osservava il mondo grigio aldilà dei vetri. “…l’e el gonf de fora…” disse. Incuriosito guardai anch’io dalla finestra: i fiocchi scendevano decisi ed il vento li faceva roteare in infinite direzioni. La sagoma scura del tabià si scorgeva appena ed al suolo c’erano oltre trenta cm di neve nuova che andava ad aggiungersi a quella ghiacciata scesa pochi giorni prima di Natale. Terminai in fretta la colazione e poi indossai la giacca a vento pesante ed il berretto bianco e blu con lo sciatore stilizzato. In un angolo del corridoio c’era il “rusach” del nonno pronto a finire sulle mie spalle. Avevo dodici anni e 500 Lire in tasca per pagare il ritorno in corriera da Cencenighe. Fare la spesa era la semplice missione di quel giorno “de gonf”. Appena aperta la porta di casa la prima folata di vento mi diede il buongiorno. Passai sotto il tabià e salii la scalinata con un pò di attenzione. Giunto “su inte stradon” mi voltai e la casa dei nonni non c’era più. Pareva inghiottita da quella luce piatta, da quel grigio d’inverno vero. C’era un gran silenzio e sulla strada innevata le scie ormai quasi invisibili delle ruote di una sola macchina transitata forse prima dell’alba. Camminavo in leggera discesa in quel mondo assente e grigio. Non c’era il Pelsa da ammirare, non si scorgeva nemmeno Ghisel aldilà della valle. Non c’era nulla che l’occhio potesse vedere tranne il marrone delle scarpe grosse che si bagnavano sempre più curva dopo curva. I fiocchi arrivavano “de stravent” e qualche folata di quel vento tentava di spostarmi, a volte pure riuscendoci. Il manto nevoso cresceva man mano che scendevo lungo la provinciale. Riuscivo a scorgere i pali a bordo strada che emergevano dai guard-rail quasi interamente ricoperti dalla neve ammucchiata dal “versor” dopo la nevicata precedente. Alle Martinazze non potei percorrere lo “scurton” che tagliava il primo tornante. Così percorsi per intero la strada in un silenzio irreale. Solo il rumore delle scarpe che calpestavano il ghiaccio ed il fischiare del “gonf” che faceva turbinare la neve. Superai l’incrocio per Balestier e poco più avanti, alla curva “dele crepe”, “el gonf” si trasformò in un vento cattivo che riusciva a penetrare la giacca a vento e rendeva difficile tenere gli occhi aperti. Quasi di corsa raggiunsi le case dei Coi ed appena infilata la ripida discesa, grazie al riparo offerto dalle abitazioni e dai tabià, il vento sparì lasciando spazio al leggero frusciare della neve che continuava a scendere incessante. Entrai nel piacevole tepore della “coprativa” con le scarpe che lasciavano impronte d’acqua sulle piastrelle. Un pò di conserva, l’olio la farina. Cose semplici per nutrire vite semplici. Poi, dopo un salto dal “Giani” per terminare di riempire il “rusach”, era già ora di ripartire verso San Tomaso. Uscii dal negozio e guardai la casa di “Cence” malinconicamente chiusa, con le terrazze coperte di neve e lontani sembravano quei gioiosi giorni d’estate trascorsi fra quelle mura ora fredde e silenziose. La campana battè nove rintocchi e la corriera ancora non era in sosta di fianco all’albergo Stella. Così decisi di ritornare a piedi percorrendo gli stessi passi del primo mattino. Ritrovai il vento forte “dele crepe” ed il grigio che copriva il Pelsa. Ora la strada era in salita, lo zaino più pesante e la nevicata sempre potente. Arrivai a casa “snegazà” e contento della mia piccola avventura. Il fornel era già caldo, la legna crepitava nella cucina economica e fuori continuava a nevicare. Mi tolsi di dosso gli abiti bagnati e li misi ad asciugare “sula brega del fornel” e poi, poco prima di mezzogiorno, pranzammo. Mi alzai da tavola quando la “pendola” batté il mezzogiorno e mezzo e guardai nuovamente quel mondo grigio dalla finestra della “stua”. Tutto appariva immutato dalle prime luci dell’alba. Soltanto lo spessore della neve era aumentato, e continuava a nevicare. Salii sul fornel mentre dalla cucina arrivava il tintinnare dei piatti messi “inte lavandin”. Ed il pomeriggio fu “gran pigada” fino all’arrivo di un’altra fredda sera di dicembre…Magiche Dolomiti!!