RITA E IL MONTE
AUDIO
Esistono storie ascoltate distrattamente tanto tempo fa e ben presto dimenticate. Racconti rifugiatisi in reconditi angoli della memoria che dopo trent’anni riaffiorano spinti da chissà quale destino. Un caldo giorno d’estate ed un libretto che gira per casa. “Cencenighe, viaggio nei luoghi del passato” è il titolo della pubblicazione della brava Luisa Manfroi. A pagina 22 poche righe riportano a galla quella storia lontana accaduta sul monte quasi cento anni fa. Qualche giorno dopo sto salendo proprio sul monte. Un rumore di motosega scende lungo la “riva” della strada forestale. Conosco la persona che sta tagliando i grossi tronchi di larice. Uomo di montagna operoso e cordiale, impegnato nel volontariato. Saluto, la motosega smette di cantare e facciamo “doi ciacole”. Parliamo di cime camminate e legname, fino a quando rammento la storia letta pochi giorni prima sul libretto che racconta Cencenighe. Nella storia è riportato anche il suo nome ed allora incuriosito chiedo qualche dettaglio. Si siede su una “zoca” e racconta. “…Rita aveva sei anni nel 1922 ed abitava a San Tomaso. Era dicembre ed i suoi genitori le avevano assegnato un compito importante: recarsi a Vallada a ritirare un paio di “scarpet”. Avrebbe dovuto valicare la Forcella San Tomaso per fare ritorno a casa, ma così non fu. Forse il tempo era cambiato e preferì seguire un altro percorso oppure sbagliò semplicemente sentiero. Nessuno seppe mai il motivo per cui prese il sentiero che porta al Monte delle Anime…”. Conosco bene il mese di dicembre sul monte. Sono i giorni in cui il bosco è chiuso in un tacere severo. Natura immersa nel profondo sonno della stagione dei silenzi e penombra che scende sulle cime alle due del pomeriggio. Dopo lo spegnersi del sole dietro alla Cima di Pape il freddo si intensifica. La neve ghiaccia e scricchiola sotto gli scarponi mentre l’oscurità sale lungo i costoni del Pelsa. “…la piccola Rita arrivò sulle cime, scese nella “busa” e poi prese il sentiero che scende verso Balestier. Superò la frana “de Castelin” e poi…”. Quando sono sul monte nei giorni d’inverno mi capita spesso di pensare a questa storia. Immagino i prati che ora sono bosco troppo fitto, penso alle vite difficili dei miei nonni. La piccola Rita aveva solo un anno più di loro quando accadde. A volte la immagino, infreddolita ed impaurita, con in mano i nuovi “scarpet” mentre scende il ripido sentiero che passa accanto al “festil”. “…arrivò in un punto dove poteva scorgere le tenui luci delle finestre illuminate dai “ferai” delle poche case di Balestier. Avrà visto il fumo salire dai camini, avrà sperato di aver ritrovato la strada di casa mentre la notte scendeva inesorabile su Cencenighe. Forse una scivolata sulla neve ghiacciata, forse l’essersi sporta troppo da una balza rocciosa. A pochi passi dalla salvezza si materializzò, oltre al buio della notte, anche quello della morte. Sembra che qualcuno avesse udito delle grida, ma pensarono fossero le urla di una ragazza che “…la era drio a partorì…”. Vane furono le ricerche nei giorni successivi. La ritrovarono due mesi dopo, a febbraio. Nei giorni in cui l’inverno diventa più gentile. Mani pietose legarono insieme le cime di due larici per ricordare il luogo del ritrovamento…”. In quei pomeriggi di freddo e silenzi passati a vagabondare sulle cime gelate “de l’Anime” ho spesso un pensiero per la piccola Rita “…pore bocete, i era già grandi a sie ani…l’era tempi così…”. L’uomo si alza dalla “zoca” dov’era seduto, riprende in mano la motosega e ci salutiamo. Riprendo il cammino con la storia della piccola Rita che con in mano i suoi “scarpet” vagava per il monte cercando la strada di casa. E quando arrivo sulle cime le rivolgo un pensiero. Sono storie di montagna. Storie di vite ormai lontane. Storie vere.