ACQUA E VENTO
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Domenica 28 ottobre 2018. Piove. Da sabato mattina è arrivata quella pioggia invocata, necessaria per lo spegnimento del vasto incendio che, per tre giorni, ha divorato ettari di bosco lungo i versanti delle Pale di San Lucano. Il cielo è plumbeo sopra Belluno e sul resto dell’intera provincia. Un’atmosfera umida, con il vento di scirocco che soffia lungo la valle del Piave e le previsioni del tempo che si fanno di ora in ora sempre più pessime. Poco dopo le dieci scendo al ponte della Vittoria per osservare il livello del fiume: ne ho viste parecchie di “brentane” e nel tempo mi sono creato vari riferimenti per valutare in modo empirico la situazione. A quell’ora il Piave è ingrossato come accaduto molte volte, e non solo in questi giorni di fine ottobre, che generalmente sono quelli buoni per le piene. Ma il cielo è carico di nubi che portano pioggia e quel fastidioso vento di scirocco scuote l’ombrello e pure i pensieri. Poco dopo le quattordici altra ricognizione: ed ora la faccenda si sta facendo molto più seria. Il Fiume Sacro ha ormai invaso l’intero alveo, l’acqua marrone sfiora l’arcata del ponte e laggiù all’orizzonte, dove compie l’ampia curva a sinistra, sta lambendo l’orlo dell’argine. Pochi centimetri e tracima, penso mentre ricordo la grande piena dell’ottobre del 2000, quando l’acqua riuscì a spostare gli enormi parallelepipedi di cemento. Il cielo sopra i Monti del Sole è nero e già sono iniziati i problemi di viabilità: RadioPiù racconta della chiusura della 203 Agordina e della Provinciale del Mis. Agordino già isolato, raggiungibile solamente compiendo lunghi giri sui passi Duran o Staulanza. Alle diciotto è ormai buio e ritorno a Lambioi per l’ultima volta: ora è temporale, l’acqua del Piave non si vede ma si sente. La voce del fiume ora è continuo boato profondo che non promette nulla di buono; perché deve ancora arrivare domani. Lunedì 29 ottobre 2018 ore 7. È un’alba umida di pioggia e tiepida di scirocco. Imbocco la strada del lavoro consapevole che, molto probabilmente, verremo evacuati dalla zona industriale di Longarone. La sera precedente sui social giravano già indicazioni attendibili in merito, ed infatti, intorno alle nove e mezza, l’annuncio ufficiale: ore 12.30 tutti a casa. Si discute e si commenta questa situazione per noi nuova, qualcuno è perplesso ed è tutto un chiedere pareri e notizie sulla situazione all’esterno. Dopo le undici, ciò che le previsioni annuciavano, si sta avverando: tuoni potenti rimbombano sulla valle del Piave e la pioggia diventa torrenziale e, sbattendo sui lucernari, provoca un frastuono infernale che rende difficoltoso il dialogare. Si guarda di frequente l’orologio e c’è voglia di andare a casa al più presto. Alle 12.30 in punto lasciamo lo stabilimento sotto un cielo da tregenda. Prendo la strada di casa e giunto a Fortogna mi fermo per scattare una foto al Salto del Lupo, l’alta cascata che si forma quando piove copiosamente. Sono ventuno anni che ci passo davanti, ma stavolta fa davvero paura. L’acqua cade lungo la parete provocando un rombo che incute timore pure se si è distanti ed al sicuro. Arrivato a Belluno mi fermo qualche istante nuovamente a Lambioi: il Piave pare leggermente calato di livello rispetto al pomeriggio di domenica, ma l’acqua marrone è ugualmente impetuosa e trasporta a valle parecchi alberi. Dopo pranzo pioviggina: esco e faccio un breve giro intorno a casa. Spira ancora quel vento umido di scirocco e in direzione agordino il cielo è completamente nero. Un nero che non ho mai visto prima d’ora: una visione che inquieta e che fa pensare al peggio in arrivo. Poi inizia a piovere, rientro in casa e mi attacco al telefonino a caccia di informazioni provenienti soprattutto dall’agordino. Mirko Mezzacasa è sul pezzo come sempre: sulla pagina Facebook di RadioPiù scorrono immagini sempre più drammatiche. La lotta degli escavatori che tentano di mantenere aperta la 203 a Ronch de Buos, e poi le altre informazioni che giungono dagli altri luoghi che iniziano a mostrare pesanti criticità. Poco dopo le 16 mi arriva su Messenger la foto, che poi diverrà uno dei simboli di quei giorni, del traliccio piegato in due che si trova a San Tomaso. Provo immediatamente a contattare chi me l’ha spedita, ma non avrò risposta: proprio in quei momenti sono saltate le reti telefoniche di quella zona e non solo. D’ora in poi le informazioni arriveranno solamente attraverso la radio. Nel frattempo il vento si intensifica. Ulula insinuandosi fra le case e i condomini della piccola città. Sbattono le porte e le persiane, e lungo la strada foglie e oggetti vari roteano sull’asfalto. Prima dell’ora di cena si scatena l’inferno: un fiume d’acqua scende lungo la via ed il vento soffia potente. Penso che non corro rischi abitando in questa zona, ma la testa è in agordino, dove la situazione immagino sia drammatica. RadioPiù ora trasmette dalla sede della Comunità Montana di Agordo: si percepisce l’ansia e a tratti la paura per quanto sta avvenendo. Poi di colpo sparisce pure la radio, e dall’agordino ora giunge solamente un profondo silenzio. È strano in quest’epoca iper-connessa, vivere improvvisamente un solenne tacere dei media: è una situazione a cui non si è più abituati e che crea disagio. Intanto la tempesta continua, tutto sbatte all’esterno ma per fortuna, da me, la corrente elettrica c’è ancora. Sono da poco passate le ventidue quando il vento e la pioggia sembrano placarsi. Così, con un po’ di circospezione, decido di uscire per vedere quanti e quali danni può aver causato la tempesta nel quartiere. In cielo ora si vedono le stelle e sull’asfalto ci sono rami spezzati, cartoni bagnati e vasi volati dai terrazzi. E poi c’è il rombo del Piave, che sembra scorrere di fronte a casa ed invece è parecchio lontano. A piedi percorro la Panoramica e mi fermo nei pressi del ponte della Vittoria. C’è la Protezione Civile che sorveglia la situazione mentre il fiume ringhia nell’oscurità producendo un suono cupo e assordante. La luce dei lampioni del ponte mostra un livello dell’acqua che la mia generazione non aveva mai visto finora e che sfiora le travi in ferro del ponte bailey. Si sentono rumori di sassi e piante che sbattono sui piloni in cemento armato e si attende il massimo della piena previsto intorno all’una di notte. Gli abitanti di Lambioi nel frattempo vengono sfollati per precauzione ed io ritorno a casa. Appena andato a letto ecco il mancare della corrente: poco male penso, tanto sto per dormire. In giro invece ci sarà chi è sfollato, chi non avrà più il tetto e forse l’intera casa. E chissà cosa sarà accaduto in agordino: il primo messaggio, un caro vecchio SMS arriverà solamente martedì pomeriggio a descrivere la situazione a San Tomaso. Il martedì mattina, mentre mi sto alzando, ecco ritornare la corrente elettrica. Poi, appena sollevate le persiane, il presentarsi di un paesaggio che da quel giorno non è più lo stesso.
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