FINE ESTATE
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Erano giorni, quelli di fine agosto, in cui iniziavo a chiedermi se valeva veramente la pena vivere quel tempo divenuto di colpo quasi inutile ed ostile. Un tempo pesante e grigio come le nuvole che talvolta si arrampicavano lente sui costoni del Pelsa. Forse sarebbe stato meglio mettere fine a quell’agonia, caricare la Ritmo e tornare a Belluno. A riprendere la solita vita. Ed invece no. Erano giorni da scontare come una pena. Il giusto prezzo da pagare dopo due mesi di divertimento. E calava un silenzio che ogni giorno era più silenzio. E si cenava con i lampioni della piazza che andavano accendendosi, spargendo una malinconica luce sulla strada ormai deserta. I villeggianti se n’erano andati quasi tutti ed al loro posto erano arrivate quelle fresche serate che portavano i primi sentori d’autunno. Giorni così, in cui si imparava l’attendere di una malinconia che sarebbe giunta impietosa insieme al mese di settembre. Eppure dicevano che il mese in cui iniziava la stagione dei colori fosse il più bello dell’intero anno. Non c’era più il caldo sfacciato dell’estate, il tempo diventava meno volubile e i cieli erano tersi. “…lè ‘l meio mes par dì in montagna…” affermavano gli amanti delle camminate in quota: beati loro, pensavo, perché io, invece che a camminare in quota, nel giro di pochi giorni mi sarei ritrovato a Belluno. Dove aleggiava il triste pensiero dell’imminente ritorno a scuola; e sarebbero stati penne e quaderni, e grembiuli e cartelle e sussidiari da ritirare e rilegare. Consolava solo il fatto che al ritorno in città avrei ritrovato gli amici, anch’essi ormai rientrati dalle loro vacanze e forse in preda ai miei stessi pensieri. A volte, il tempo di quegli ultimi giorni agordini, non era più scandito dal ticchettio della pendola e dal battere del martello sulla campana grande: era il tik tok dei fagioli che lentamente riempivano terrine di ferro plastica e vetro, a ritmare quelle stanche giornate. Il rito dello “scrosolà fasoi” era l’ultima penitenza da scontare prima di calcare l’asfalto della 203 in direzione sud. Poi, dopo la chiusura dei sacchetti e la loro messa a dimora nel congelatore, poteva davvero iniziare quell’autunno agordino che avrei vissuto solamente il sabato e la domenica. Chissà come sarebbe stato vivere per intero la stagione delle prime “brose” nel paese dove Biois e Cordevole si uniscono in matrimonio, mi chiedevo: forse alla sera avrei visto i cubetti di porfido del sagrato ricoprirsi di brina e poi i camini fumare per quasi tutto il giorno mentre i larici del Bosk dal Forn si vestivano d’oro. Sarebbe stato interessante, ma la realtà invece sanciva che il nostro camino avrebbe fumato solamente dal sabato pomeriggio alla domenica nemmeno di sera e poi, dalla metà di novembre in avanti, non avrebbe fumato più. Erano questi i pensieri in voga in quei giorni di sere che scendevano sempre prima, buone soltanto per terminare, o iniziare, qualche esercizio di grammatica e aritmetica. Erano momenti in cui invidiavo gli adulti: parevano indifferenti allo scorrere delle stagioni. Per loro, settembre, era un mese come gli altri. Non avevano compiti da finire e scuole in cui ritornare e lo potevano vivere in perfetta serenità quel settembre che era tempo gentile per i grandi e beffardo per i ragazzi. Poi arrivava il giorno in cui l’estate terminava per davvero. Alla sera le “sportole” erano pronte in corridoio insieme alla valigia color vinaccia ed al borsone nero. Alle venti gli ultimi settantanove rintocchi della campana grande: poi il silenzio e quel “doman don en dù” che giungeva implacabile a chiusura di un’altra estate da ricordare. Saremmo ritornati il sabato seguente, stavolta con meno bagagli: e forse sarebbe stato il tempo del primo fuoco alla sera…Magiche Dolomiti!!
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