LE CAMPANE DI SAN SIMON
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L’auto correva decisa lasciandosi alle spalle quell’alba stanca di fine ottobre. Un nascere stentato del giorno e nebbia che avvolgeva l’ancora dormiente piccola città. La Strada Madre deserta, ed era un procedere veloce incontro alle montagne agordine le cui cime emergevano dal grigiore che andava diradandosi chilometro dopo chilometro. In riva al Cordevole, invece, regnava la penombra su cui spiccava il bianco della brina che orlava il ciglio strada. Poco più di mezz’ora ed il motore si spense di fronte al Pelsa. Si allacciò gli scarponi immerso nel silenzio del giorno nascente, caricò lo zaino sulle spalle e si avviò lungo il sentiero che conduceva sul monte. Foglie ghiacciate “de fagher” scricchiolavano ad ogni passo mentre camminava spedito lungo l’erta salita; gambe e fiato viaggiavano all’unisono mentre il bosco, desideroso di spogliarsi dell’abito bianco di “brosa”, attendeva il sorgere del sole, voglioso di assaporare ancora una volta il tepore di fine ottobre. Pochi minuti più tardi aprì la porta della baita, posò lo zaino sulla sedia e poi raggiunse l’orlo del grande salto: di lì a poco il sole avrebbe scavalcato il Pelsa sciogliendo la brina ed illuminando l’intera valle. Fu in quegli attimi che da fondovalle salirono i potenti rintocchi delle campane di Cencenighe: un suonare preciso, scandito a tempo di metronomo. Ascoltò in silenzio l’inconfondibile timbro argentino delle sue campane e poi ritornò sui suoi passi per dedicarsi ai soliti lavori. Ora il freddo dell’alba aveva lasciato spazio ad un dolce tepore, qualche foglia di faggio roteava nell’aria e il “manarin” batteva deciso sul “zok”. Era il tempo di prepararsi all’inverno che sarebbe potuto arrivare da un giorno all’altro, ed era pure il tempo dei semplici prodigi d’ottobre. Accadeva di rado, soprattutto durante le terse mattine di quasi novembre, quando il vento spirava verso sud, di poter sentire in lontananza un dolce suonare di campane. Pensò che quella poteva essere la domenica giusta, così posò il “manarin” e ritornò un’altra volta nel punto in cui lo sguardo poteva ammirare addirittura Agordo che riposava all’orizzonte. Dopo qualche minuto udì una dolce musica che proveniva dalla Val del Biois; un suono commovente ed allo stesso tempo gioioso quello che saliva dai boschi che sovrastano Vallada. Erano le campane della chiesa di San Simon a regalare quella dolce magia d’autunno. Mentre quella sorta di carrilon dolomitico spargeva le sue note lungo valle, pensava a quel giorno d’estate di qualche anno prima quando ebbe la fortuna di visitare quella chiesa immersa fra gli abeti del Celentone. Il giovane che fungeva da Cicerone fu cordiale e con entusiasmo gli raccontò la storia di quell’antico e prezioso edificio di culto: parlarono in dialetto mentre il sole illuminava l’interno della chiesa facendo brillare i vivaci colori utilizzati dal Paris Bordone per affrescare le pareti. Ricordando quei dipinti pensò che forse era la stessa mano del Paris Bordone a dipingere ogni anno l’autunno della Val del Biois: erano quelli i giorni in cui la foresta dei Mesaroz si trasformava in un dipinto carico di colori che spaziavano dal giallo al rosso fino al verde cupo. Suonavano lontane le campane di San Simon, e tutt’intorno splendeva l’autunno. Poi fu una domenica vissuta in compagnia del fuoco che ardeva tranquillo nella “fornela” ed un attendere l’accendersi delle stelle.
“…salendo lungo la Valle del Biois si volga lo sguardo verso destra mentre si percorre la “riva del Mas”. Si risalga con lo sguardo il versante ricoperto di abeti del monte Celentone. Nel verde scuro delle conifere apparirà il campanile aguzzo, puntuto prodigio emergente dal verde cupo del bosco. Oppure potrebbe essere un dolce suono di campana ad attrarre la nostra attenzione. Ed allora è consigliabile mettere la freccia a destra e salire verso Celat di Vallada. Poi basterà prendere ancora a destra e risalire la stretta strada che condurrà in breve al cospetto di quell’incanto agordino che porta il nome di chiesa di San Simon di Vallada. Edificata fra i boschi del monte Celentone, è uno scrigno che contiene tesori di inestimabile valore e scintillante bellezza. Il luogo stesso dove sorge è pregno di una magia antica che rasserena l’animo pure dei non credenti. Chiesa antichissima, datata addirittura 1185, venne dichiarata monumento nazionale nel lontano 1877. Un tripudio di colori accoglie il visitatore che durante il periodo estivo la troverà aperta in determinati orari. Fu il pennello guidato dalla sapiente mano di quel grande pittore veneto che risponde al nome di Paris Bordone a lasciare il segno alla metà del ‘500. E non solo l’occhio può inebriarsi di stupore: anche l’orecchio, allietato dalle flautate note dell’antico organo del Callido. Sopra la chiesa il cimitero si posa lungo il ripido costone. Al suo interno sono contenute le spoglie di Attilio Tissi, esempio purissimo di ardimento sulle crode, valente imprenditore ed uomo di Stato. La montagna lo volle con se e l’agordino tutto lo pianse quando perì tragicamente precipitando dalla Grande di Lavaredo nell’agosto del 1959. Il camposanto fu inoltre set cinematografico di un film del regista vittoriese Giuseppe Taffarel, uno dei maggiori registi del neorealismo italiano. “Via Crucis” è il titolo dello struggente cortometraggio. La pellicola girata nei primi anni ‘70 racconta il calvario silenzioso e crudele provocato dalla silicosi, terribile malattia che colpì migliaia di minatori bellunesi nel secondo dopoguerra. San Simon è luogo di pace, di serena bellezza che meraviglia gli occhi e fa gioire il cuore. Quando salirete lungo la Valle del Biois ricordatevi di volgere lo sguardo verso il Celentone cercando l’aguzzo campanile. E poi fatevi rapire per una mezz’ora dal dolce suono delle campane e dal profumo di quei boschi che contengono, come verde scrigno, quel lucente gioiello che porta il nome di chiesa di San Simon di Vallada…”…Magiche Dolomiti!!
LA RACCOLTA COMPLETA
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