SOGNI D’ASFALTO
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Ho parcheggiato sul ponte del Torner in quel pomeriggio di quasi pioggia e mi sono incamminato su quella “old road” deserta. Sono diventato subito un tutt’uno con quella solitudine. Mi sono fermato prima del dosso, sotto i paravalanghe verdi. Ho guardato il Cordevole scorrere sul fondo della gola. Poi ho proseguito il cammino verso il km 21.070. Ad ogni passo ho rotto il silenzio di questa strada di silenzi. Ad ogni passo ho alzato la polvere dall’asfalto di questa strada abbandonata che io non ho mai abbandonato. La cantoniera mi ha raccontato le sue storie di vento e motori. Poi, a metà del ponte, mi sono fermato. A pochi passi dal varcare il confine della “Promised Land”. Quel confine fra la pioggia e la neve. Fra l’Agordino e il resto del mondo. Ho chiuso gli occhi ed ho ascoltato il Cordevole cantare insieme al vento. Poi ho varcato quel confine. È asfalto consunto, invecchiato quello della curva di uscita dal ponte dei Castei. Asfalto di Strada Statale, di quella Strada Madre che qui porta ancora il nome di S.S. 203 Agordina. Quarantanove metri di ponte e poi curva a novanta gradi a sinistra. Da seconda marcia. Fermo il mio camminare di fronte alla targa murata sulla parete rocciosa il 21 ottobre 1966: leggo quelle parole che celebrano l’annessione dell’Agordino al Regno d’Italia. In quei giorni d’autunno cadeva la ricorrenza dei cento anni dallo storico evento: ma non ci fu festa, ci fu la grande alluvione del 4 novembre. Osservo le sbiadite righe gialle del ciglio strada, i paracarri di pietra parzialmente coperti dai guard-rail ammaccati dalle pietre che qui cadono di frequente. E poi i muretti di ingresso al ponte, zebrati a strisce oblique bianche e nere. Chiudo gli occhi, ascolto il Cordevole e sento le gomme della 127 color del cielo che fischiano leggermente in curva. Mi appoggio col gomito sulla portiera mentre papà affonda completamente il piede sull’acceleratore. La 127 ringhia, la sua seconda corta termina in fretta mentre sorpassiamo una betoniera che, mentre snocciola una marcia dietro l’altra, scarica una possente nube nera di gasolio. Frastuono di motori, papà che butta dentro la terza e mentre finisce il sorpasso dice “…mancomal che l’avon sorpasada qua se no ne tochea sta da drio fin in Agort…”. Ora la strada piega leggermente a sinistra, dentro la quarta per un centinaio di metri e poi ancora una terza bella potente per il curvone a destra, quello che porta fuori dalla gola. Stavolta mi aggrappo al sedile in simil-pelle nera e dopo metà curva il motore ricomincia ad alzare la voce. Che grinta la 127 color del cielo: canta allegro il suo motore mentre ci spinge velocemente verso Cencenighe. Con i deflettori aperti che fanno entrare l’aria di casa. Mentre nella mia mente va sfumando il rombo della 127 inizia a piovigginare e trovo riparo all’entrata della galleria del treno. Il cielo si scurisce diventando grigio come la carrozzeria della Ritmo. Chiudo ancora gli occhi: è domenica proprio come oggi e sono seduto sul sedile posteriore beige. C’è la mamma sul sedile anteriore e fuori piove. Fari accesi e triste luce verdolina del cruscotto. Stavolta si va più piano. La Ritmo ha un rumore cupo ed il caratteristico “uuuhhhh” del cambio. È seria, non è scanzonata e grintosa come la 127 che riposa in cortile. Mamma e papà parlano di argomenti che non mi interessano ed io cerco l’Agner sullo sfondo. Oggi non c’è, è coperto dalle nuvole. Peccato, volevo vedere i nuovi paravalanghe che hanno montato da poco. Che lavoro però!! Papà un giorno mi ha detto che hanno portato su i pezzi con l’elicottero. Avrei tanto voluto vederlo l’elicottero, magari pure salirci mentre portava in quota le putrelle di ferro. Ora siamo alle Miniere e il panorama è ancora più grigio. Nuvole basse e tergicristalli intermittenti. Oggi non so se riuscirò ad andare a giocare intorno casa dei nonni con questa pioggia. Poi riapro gli occhi e ritorno nel mio tempo mentre sta smettendo di piovere. Un forte vento spinge via le nuvole e all’orizzonte appare l’Agner. Attraverso il ponte, saluto la Casa dei Silenzi e mi incammino verso il ponte del Torner. Arrivato alla macchina parcheggiata all’inizio del ponte mi viene da ridere perché è grigia come la Ritmo. Che razza di idea ho avuto dieci anni fa a prenderla grigia!! Poi salgo, metto in moto ed è ancora Strada Madre. Oggi cercavo ricordi da ricordare: li ho trovati tutti…Magiche Dolomiti!!
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