TEMPO DI MARE
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L’estate, oltre che tempo di agognate vacanze agordine, era pure tempo di soggiorno quindicinale al mare. Erano giorni febbrili quelli che precedevano la partenza per Bibione. La grande valigia color vinaccia si riempiva e si svuotava convulsamente, con asciugamani e costumi scelti e poi scartati e poi ancora scelti finché, in un preciso momento, ovvero la sera prima di partire, la mamma otteneva il risultato voluto. Il mattino successivo papà caricava con perizia la Ritmo: valigie borsoni giochi e TV Grundig in bianco e nero trovavano in fretta la loro perfetta collocazione ed ormai la partenza era davvero imminente. Ancora un paio di faccende da sbrigare dopo aver controllato luce e gas: ovvero il pieno di benzina al distributore sotto casa ed il prelievo di contanti al bancomat. E fu proprio in una di queste occasioni che ebbi modo di conoscere il bancomat di piazza Piloni. Era incredibile vedere uscire i soldi dalla fessura, e così pensai che per avere denaro bastava andare al bancomat. Facile così. Ed invece grande fu la delusione nel constatare che, prima di ritirarli, i soldi occorreva metterceli in banca. Poi, finalmente, si partiva in direzione Fadalto. Che allora il Fadalto era cosa seria: “lè come fa ‘n passo” diceva papà. E mamma già si preparava al subbuglio di stomaco. Si partiva presto ma non prestissimo, ed io mi godevo ogni chilometro di quel viaggio insolitamente lungo. Il lago di Santa Croce era già un qualcosa che meritava di essere visto e, poco dopo, era già tempo del Fadalto con le sue molteplici curve e, soprattutto, con il suo lago Morto: destava curiosità questo lugubre nome lacustre e la mamma diceva “mi ‘l me fa paura chel lak così scur con chel brut nome”. Terminato il Fadalto la madre tirava il fiato e si entrava nel severo centro storico di Vittorio Veneto. Poi San Giacomo di Veglia con le sue campane senza un campanile e davanti agli occhi l’ aprirsi di una pianura sempre più pianura. Ed il caldo aumentava, l’asfalto tremolava e l’aria di mare iniziava a farsi sentire nei pressi di Portogruaro. Rettilinei e canali raccontavano che ormai mancava poco: breve sosta all’agenzia Solmar alle porte di Bibione per il ritiro delle chiavi dell’alloggio e poi gli ultimi chilometri fino all’approdo finale. Le vie e le piazze portavano gli affascinanti nomi di costellazioni e pianeti come quelli raffigurati nel “Grande libro del Sapere”, ed in me saliva la curiosità di conoscere quale di questi nomi celesti rappresentava la nostra destinazione. Gli ultimi anni finimmo in via Terra, all’ultimo piano di un bel condominio con vista nord-sud. E la sera era bello cenare ammirando le navi che solcavano il mare all’orizzonte. Dopo lo scarico dei bagagli iniziava la nostra tranquilla vita marittima. Sveglia presto, colazione con calma e poi in spiaggia a giocare con il badile, le classiche bocce, le biglie ed il pallone. A volte una passeggiata e poi il ritorno in via Terra per il pranzo. Il primo pomeriggio, complice l’aria di mare a cui non eravamo abituati, era tempo di riposo e così accadeva che in spiaggia ci ritornassimo a pomeriggio inoltrato. Erano i momenti del fatidico conto delle ore trascorse dal pranzo per poter fare il bagno, e sotto ogni ombrellone andavano in scena frenetiche trattative madri-nonne-nipoti che mi lasciavano piuttosto indifferente perché a me l’attività di “fare il bagno nel mare” non piaceva granché. Verso le diciannove si rientrava a casa per la cena e poi quasi sempre c’era la passeggiata serale per le vie nominate con il nome dei pianeti. E per noi, abituati alla tranquillità di Belluno ed ai silenzi di San Tomaso, era un allegro diversivo fermarsi ad ascoltare i musici che suonavano e cantavano nelle verande di bar e pizzerie. E qualcuno era commosso nell’ascoltare per l’ennesima volta “L’italiano” di Toto Cutugno mentre i tedeschi riempivano con badilate di Marchi le casse dei locali. Erano forti i tedeschi: stoici in spiaggia nel prendere tutto il sole possibile ed immaginabile ustionandosi completamente senza alcun lamento per poi trasformarsi, alla sera, in svuota-bancarelle: i negozianti gioivano e le borse traboccavano di improbabili ammenicoli marittimi. Noi si rincasava presto mentre per le vie ferveva la giovane vita notturna e così mi addormentavo con la colonna sonora dei Ricchi e Poveri cantata a squarciagola all’esterno dei bar nei dintorni. Andavano via così quelle belle e tranquille giornate di mare, fra giochi sole e la classica passeggiata che conduceva al faro. Era una bella avventura la gita al faro: una lunga camminata e perfino un guado da superare per approdare al confine del Veneto. “De là del Tagliamento le già Friuli” diceva papà, e a me piaceva l’idea di essere al confine della nostra regione. E mi piaceva pure il faro. L’ultimo giorno era dedicato al rifare i bagagli e alla sera una buona pizza sanciva la fine della villeggiatura a Bibione. Era bello il mare, ma era bello anche ritornare in montagna, per cui si ripartiva senza alcuna tristezza di sorta. Un paio d’ore di macchina e avremmo rivisto la Schiara con la sua Gusela. Ed un paio di giorni più tardi saremmo tornati di fronte al Pelsa: e da quel momento sarebbe stato il canto del Rù da Ghisel ad accompagnarmi nel dolce sonno montano…Magiche Dolomiti!!