NEL MONDO DEL PELSA
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Un mondo appartato, semi-nascosto nella maestosità dei boschi del Pelsa. Un mondo di piccoli orti “coltivai a fasoi” e di “pile de legne” perfettamente a piombo. Ampi panorami che si aprono sulla Val del Biois e cantare gentile dell’acqua della “brenta”. Bricol è frazione tenacemente aggrappata ai ripidi pendii dell’alta e severa montagna: un piccolo borgo formato da una casa e un tabià, mantenuto in vita da altrettanto tenaci persone. Tutto è curato nei dintorni della grande e antica abitazione; l’erba è falciata e gli orti perfettamente recintati. Anche la bella strada forestale che sale dai Bastiegn è ben tenuta: in parte cementata, permette di raggiungere con maggiore agio e sicurezza questo piccolo villaggio nascosto e silenzioso. Sono importanti le strade che permettono di raggiungere questi luoghi splendidi e complicati: quando mancano le strade, le frazioni prima si spopolano e poi cadono in rovina. C’è ancora vita quassù dove giungono nitidi i potenti rintocchi della Conciliare: ci sono i fiori alle finestre che raccontano di vite aggrappate alle proprie radici ed alla propria montagna. C’è la cura dei prati e la manutenzione dei tetti: i sacchi di cemento posati in ordine accanto alla fontana raccontano un “work in progress” perenne e silenzioso. Donne e uomini che ancor oggi mantengono in vita quel mondo di ieri. E mi vengono in mente gli occhi azzurri di quell’uomo dalla voce pacata che incontrai non al Bricol, bensì dall’altra parte della valle. E poco importa dove ci siamo incontrati: quassù la storia di questi borghi è sempre uguale e spesso è narrata da persone che portano lo stesso cognome. Aveva appena spento il decespugliatore quel giorno. Mi avvicinai e ci presentammo. Parlammo per una ventina di minuti di questi luoghi che con fatica ancora vivono. Mentre ascoltavo pensavo ai mille discorsi sentiti in questi anni, alle tante parole spese e alle molte pagine lette in materia di “abbandono della montagna”. L’uomo dagli occhi azzurri parlava e nel mentre osservava il suo lavoro appena terminato. Faceva caldo e l’erba già iniziava a seccare quando mi guardò e mi disse che “…lè bel vede ‘n cin de net qua d’intorn…”. In quel momento pensai che in queste semplici parole c’era tutta la verità. Era costato fatica e pure qualche soldo quel lavoro eseguito a regola d’arte, e non c’era stato alcun ritorno economico. Non aveva rifoccilato il suo conto in banca, ma il suo cuore e la sua anima gioivano in silenzio ammirando il luogo dov’era nato e cresciuto tirato a lucido come quando era bambino.
Da Bricol si riescono a scorgere quelle frazioni ormai preda dall’avanzare del bosco che anno dopo anno ruba spazio ai prati: Pradesora, Malos e Cioit. Borghi che sono storie, “mur de sas e salesai” che parlano. Poi mi alzo dallo scalino in pietra dove sono seduto e mi preparo a continuare la mia passeggiata all’ombra dell’incombente parete del Pelsa. Prima di incamminarmi saluto con affetto il semplice lampione “vintage”: è “la stella del Pelsa”, che di notte brilla indicando la rotta a notturni naviganti montani. Pure a Colaz, un tempo, era presente un’identica stella: ma purtroppo è spenta da anni. Osservo il fantasma del “Campanil dele Moneghe” aldilà della valle e poi mi inoltro lungo la “strada da trator” che si snoda lungo “la costa”. È bosco “de fagher e de lares”, era mondo di carbonai che un tempo, in questi luoghi, producevano carbone di legna. “El troi de le ial” racconta “de poiat che fumea anca par doi setimane” e di uomini che vivevano all’addiaccio durante i giorni necessari alla produzione del prezioso carbone. Era lavoro duro, che necessitava di abilità e pazienza. Erano fatiche e sacrifici e “polenta e formai”. Le “ial”, ovvero quegli spiazzi dove venivano allestiti i “poiat”, raccontano quelle vite che oggi sono vecchi ricordi. Un mondo appartato a 1097 metri di quota, silente eppur vivo, dove il sole arriva tardi al mattino e dove rivive la storia dell’antico lavoro dei carbonai “de Zenzenighe”… Magiche Dolomiti!!
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