NEVE IN CITTÀ
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L’autunno ormai sfumato, i tigli spogli e il primo ghiaino sui marciapiedi. L’inverno lo si sente nell’aria, anche in città. Le giornate sono fredde e la brina ricopre stabilmente i prati e i tratti di strada in ombra. Le previsioni meteo iniziano ad essere monotematiche. Neve in arrivo. Dal primo mattino il cielo è grigio, il freddo è tagliente e la radio conferma che nevicherà. Nel pomeriggio si inizia a respirare la classica “aria da neve” e mentre la sera si prende il suo spazio, eccola arrivare. Guardando sotto la luce del lampione si possono scorgere i primi minuscoli fiocchi. Pochi minuti e l’asfalto gelato inizia a perdere le sue difese. L’attimo in cui “la nef la scominzia a tacà” è sempre emozionante. Il cortile e la strada iniziano ad imbiancarsi e, inesorabile, cala il silenzio; quel silenzio che solo la neve sa creare. Il tempo di una cena veloce e poi di nuovo alla finestra; stasera niente televisione e poco smartphone, c’è la neve stasera, che ora scende decisa ed è uno spettacolo che merita di essere ammirato. Osservo in silenzio la coltre bianca che inizia ad arrotondare le forme delle auto parcheggiate e penso al ieri e pure al domani. Passato remoto e futuro prossimo si alternano nella mia mente: ripenso alle nevicate cittadine più abbondanti che ho vissuto e nel frattempo entro in modalità “doman me ciape par temp”. La nevicata in corso promette bene e sarà opportuno fare ricorso alle antiche saggezze tramandate: ovvero sveglia una ventina di minuti prima del solito e scopa, e forse pure badile, in mano. Non sono solo a guardare dalla finestra: vedo un muovere di tende e occhi curiosi e talvolta preoccupati che osservano lo scendere copioso della neve. Qualcuno sarà felice di questo evento che ormai in città è piuttosto raro, altri invece saranno infastiditi. Domani si vivrà un vivere rallentato e in alcuni casi praticamente fermo: saranno ritardi a lavoro e ingorghi, auto intraversate e qualche volta abbandonate lungo le strade. E poi occhi stupiti dei bambini e, forse, qualche slitta che uscirà dalla cantina. Nel frattempo un rumore cupo rompe momentaneamente l’incanto di quel perfetto silenzio serale: il lampeggiante giallo del “versor” illumina le facciate dei palazzi e la lama spinge la neve contro i muri dei giardini. Rare auto salgono e scendono lungo la via: qualcuno guida spavaldo, altri procedono guardinghi ed io, mentre osservo la strada levigata dalla lama del “versor”, ripenso ai tempi lontani in cui, il giorno successivo, noi bambini e ragazzi scendevamo con le slitte per pomeriggi interi. E siamo stati l’ultima generazione a slittare lungo questa discesa che allora portava ai campi di mais. Uno scendere veloce ed un risalire a rilento trascinando la “lodeta” fino quando veniva buio e poi ancora un po’. E poi il varcare la soglia di casa fradici e felici. Meno felice di noi fu l’autista del camion del gasolio che un giorno, tentando di risalire senza catene l’erta via, prima si intraversò e successivamente si incastrò proprio nel punto più stretto e pendente della strada. Volarono bestemmie in italiano e dialetto che rimbombavano fra i condomini e poi arrivarono i Vigili del Fuoco: fu interessante ed istruttivo vedere i pompieri all’opera con il verricello, ma era meglio osservare lo spettacolo da lontano perché l’autista del camion del gasolio non era granché di buon umore. Nel frattempo continua a nevicare fitto e sicuramente andrà avanti tutta la notte; e mentre penso di scendere un attimo in cortile per pulire i vetri della macchina, lo sguardo si posa sul cancello del vicino di un tempo. Non fu un bel risveglio il suo in quella memorabile mattina della storica nevicata dell’85; un poderoso “crash” ruppe la quiete della tranquilla colazione a base di latte e muesli. La lama del “versor” spinse la già tanta neve del mattino verso destra e ciao cancello: crollarono mestamente i pilastrini in cemento un po’ scarsi di fondamenta. Era un triste spettacolo veder sporgere dal mucchio di neve i tristi i tondini contorti del cancello. Fu nevicata imponente quella volta: e fu gran lavoro di braccia e schiena di papà per disseppellire la 127 color del cielo parcheggiata in cortile. Poi arrivò la pala gommata e spinse tutta la neve in un angolo del piazzale: e la nostra fantasia di bambini anni ’80 trasformò quel mucchio bianco in un castello: qualcuno stava in cima e gli altri sotto. E furono infinite battaglie a palle di neve fino a primavera. Ora la neve ha raggiunto un buon spessore e, prima di andare a dormire, occorre mettere per un momento da parte i ricordi e armarsi di scopa per pulire i vetri della macchina. In cortile c’è un gran silenzio e si riesce a sentire il fruscio dei fiocchi che si posano sulla neve già al suolo. Terminata la pulizia è d’obbligo un breve giro del quartiere: due foto per immortalare l’ormai raro evento e poi il vivere per qualche minuto quell’atmosfera ovattata. Mentre rientro in casa penso che all’indomani sarà traffico delirante e polemiche per lo sgombero neve. E mi prende un po’ di malinconia al pensiero che domani, la strada che ora è coperta di candida neve, sarà un mare di “pocio” marrone causa quintali di sale gettati durante la notte. Quando ritornerò da lavoro non ci saranno bambini bagnati felici e vocianti che scendono con la slitta lungo la via. Domani pomeriggio sarà asfalto bagnato e in centro le pale gommate saranno all’opera: la magia bianca sarà caricata sui camion e portata chissà dove. Svanirà così il sogno di una sera di neve cittadina; rimarrà il ricordo di una magia che, per una manciata di ore, ha regalato silenzi e riportato l’identica felicità provata in quei lontani e spensierati inverni.
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