LA CHIAVE
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Una vecchia chiave. Che apre la porta di un fienile di montagna costruito nell’immediato dopoguerra; oppure che può spalancare l’uscio dei ricordi. Dipende da cosa si vuol trovare dietro queste porte. Potrebbe essere soltanto un classico tabià che da tanti anni non contiene più fieno; trasformato temporaneamente in magazzino di “batarie” difficili da portare all’ecocentro. È complicato, almeno per me, buttare i ricordi nei container di ferro della discarica. Viceversa, sapendo ascoltare anima e cuore, il classico tabià si tramuta in un luogo che racconta storie di vita. Ci sono le “faoz”, appese ai travi della parete di fianco alla porta, che non lavorano sui prati da circa trentacinque anni. Prendendo in mano una di quelle falci sembra di sentire ancora il sudore sul manico perfettamente liscio. Ed immagini i calli, la pelle delle mani dura come il cuoio. Guardi quei quintali di legna accatastata nella “legnèra” e pensi a quanta fatica è costata. “Legne lasade là par mosina”; e che nessuno ha più bruciato. Spesso prendo in mano questa chiave e apro il tabià. A volte per prendere qualche attrezzo, ina altre occasioni, invece solamente per immergermi nell’atmosfera di quei tempi andati. Mi piace ascoltare i miei passi su quelle “breghe” ormai quasi antiche. In alto, nell’angolo a destra, c’è ancora un mucchio di “bregoign” accatastati. Sono quelli che il nonno conservó con cura “par fa la casa da mort”. Nel frattempo che le “breghe” stagionavano il mondo cambiò, e la sua cassa da morto la comprammo nell’ottobre del ’95 nel negozio delle pompe funebri. Provo un’emozione semplice e vera prendendo in mano in mano il “restèl” col manico azzurro che usava mia nonna; oppure aprendo “el fumer” immaginando di sentir salire il calore della stalla e l’odore della “grasa”. Momenti così, che mi ricordano quel mondo che ho visto pian piano cambiare intorno alla metà degli anni ’80. Ho sfiorato l’ultima “bècaria” in casa ed ho assistito agli ultimi sfalci ed al trasporto degli ultimi “fas de fen” fino al tabìà utilizzando il “caret” azzurro parcheggiato appena dietro il portone. Poi, quel mondo di tradizioni antiche tramandate con sapienza, per noi, chiuse i battenti. Finirono le bevute di latte “a metri zero” munto pochi minuti prima. Terminò il “snizà le pèze de formai”. Finì pure l’emozione del taglio della prima fetta dei nuovi salami. Rimangono i ricordi di un tempo che non ritornerà più. Memorie di visi e voci, di prati che ora sono fitto bosco. Ed ecco che allora la “cèf” non apre soltanto il portone di un tabià di montagna, ma anche una sorta di porta del tempo che mi conduce indietro di tanti anni, regalandomi emozioni e suggestioni sempre nuove…Magiche Dolomiti!!!
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