DUE PAESI
AUDIO
Due piazze divise da poco più di tre chilometri di strada provinciale. Due paesi che si dividono in egual misura la mia anima ed il mio sangue. Cencenighe, il paese che tutti conoscono perché, se devi salire in Val Biois oppure in Val Cordevole, nella sua piazza 4 Novembre devi per forza passare. “Cence” ha un’anima rock, con i suoi rumori di traffico che nei giorni di turismo sovrastano la onnipresente voce del Biois. A San Tomaso, invece, giunge sfumato il brusio del serpente d’auto che sale e scende lungo la 203. “San Tomas” ha un’anima più “metal ballads”; persino le campane confermano questi due caratteri così diversi: potenti e precise quelle di Cencenighe, gentili e discrete, con un suonare più “fantasioso” quelle della parrocchiale di San Tomaso. Se “Zenzenighe” è conosciuto da tutti, “San Tomas”, ancora al giorno d’oggi, per qualcuno è un pò il “paese che non c’è”; perché, se non sai dov’è, difficilmente lo trovi. Solo occhi curiosi riescono a scorgere la chiesa ed il campanile mentre scendono dal Masarè. Se ne sta lassù alla quota di 1082 metri s.l.m. della sede municipale, a cui occorre aggiungere ancora circa duecento metri per indicare le altitudini delle numerose frazioni arroccate lungo i pendii del Sasso Bianco e del Piz Zorlet. Ed è un vivere in pendenza quello che si vive nel paese che per qualcuno “non c’è”; soltanto la frazione di Avoscan si trova sul piano, gli altri ventiquattro borghi sono tutti aggrappati ai costoni delle montagne che guardano il Civetta. Un pò come le frazioni di Cencenighe, ubicate sui ripidi versanti del Pelsa e di cima Pape. È un salire improvviso e quasi violento quello delle montagne che circondano il paese la cui piazza è l’incrocio principale dell’agordino intorno alla quale si sviluppa l’abitato principale. Due piazze divise da poco più di tre chilometri di strada provinciale numero 8 “de San Tomas”. E di chilometri ne bastano anche meno di tre per notare il mutare piuttosto marcato del dialetto. Le “o” chiuse di “Cence”, la casa che a San Tomaso diventa “la cèsa”. Due dialetti che mescolati insieme hanno prodotto quello strano miscuglio di vocaboli e cadenze che è il “mio” dialetto. Due paesi, due mondi che si sfiorano sul confine che taglia la grande parete del Pelsa per poi scendere in picchiata lungo la Val delle Bette e risalire aldilà del Cordevole passando fra Fontanelle e Martinazze. Da Costoia a “Prademez” è un coast to coast agordino, un breve viaggio alla ricerca di radici e storie di quelli che non ci sono più; e queste storie, in fondo, quasi sempre hanno la stessa trama; “fadighe, vacie ciamp e valise ‘nte man”. Penso a queste montagne, ai due paesi, alla loro gente ed alle loro vicende di ieri e di oggi mentre cammino per Cencenighe. Ieri sera invece, per par condicio ero a passeggio a San Tomaso, “su par chele vile”. È ormai parecchio tardi ed è tempo di rientrare a casa. Ieri sera mi ero fermato in piazza a San Tomaso ad ascoltare il silenzio, stasera invece mi fermo sul ponte di Veronetta ad ascoltare il Biois. Poi mi affaccio su quella piazza che è incrocio di valli venti e destini; e la campana suona i dodici rintocchi della mezzanotte e scintilla il ghiaccio che ricopre l’asfalto; e ades lè ‘l temp de cargà le stue e de se se tirà ‘n te let che lè beleche doman. E fra ‘n cin sarà ‘l temp de se insognà ‘sti doi paes intant che ‘l Biois el canta pian la sò canzon de invern.”…Magiche Dolomiti!!
*****