LA SERA DEI PAVARUI
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L’inverno 2005/2006 fu inverno serio, di quelli vecchio stampo. Uno degli ultimi in cui in Valbelluna nevicò come ai tempi d’oro ed era un sogno passeggiare in una Belluno carica di neve come quando ero bambino. Il 5 gennaio del 2006 c’era un gran freddo e quel pomeriggio, poco prima che venisse buio, partii insieme papà in direzione Cencenighe. La sera della Befana in Agordino è sera speciale: quando c’è neve si può assistere allo spettacolo dei Pavarui. Sarebbe stato interessante tentare qualche fotografia notturna per immortalare questo evento sempre affascinante. Scintillava la neve alla luce dei fari lungo la 203, l’asfalto era coperto da lastroni di ghiaccio ed occorreva un pò di sana prudenza. Arrivammo a Cencenighe all’imbrunire. Papà non mi seguì nel mio reportage fotografico: preferì andarsene al caldo, ed in fondo aveva pure ragione. C’erano 12°sottozero e pensare di stare oltre un’ora immobile a scattare foto era idea alquanto malsana. Ma ero giovane e determinato, e pure “professional” in quel tardo pomeriggio di gelo; munito di mitica Olympus C-5000 che tante foto ha scattato in montagna e perfino di cavalletto, ero pronto per consegnare ai posteri la fredda edizione dei Pavarui di metà anni 2000. Parcheggiai la Sporting a Veronetta e salii fino al terzo tornante della strada che sale a Martin; piazzai perfettamente in bolla il cavalletto, recuperai la batteria della Olympus dalla tasca più interna della giacca e, come un consumato professionista, scattai le prime foto di prova. “Cence” era un sogno di ghiaccio: si spegneva il giorno e si accendevano le luminarie di Natale che facevano luccicare la neve. Ed io, mezzo ibernato, scattavo foto aspettando l’accendersi dei Pavarui. All’accensione dei falò Cencenighe si tramutò in una sorta di grandioso presepe illuminato. Come di consueto, le torce rosse erano presenti sulle cime che sovrastano il paese. Pensai al freddo che stavo patendo io, che era poco rispetto a quello che sentivano loro lassù. Ci stavano regalando un grande show, e mentalmente li ringraziai. Quando fu del tutto buio mi spostai sulla Provinciale di San Tomaso, dove faceva ancora più freddo. Piazzai nuovamente il cavalletto in strada e scattai fino a riempire la memoria della scheda. Che allora la fotografia digitale era ancora un pò agli albori e non c’erano migliaia di scatti a disposizione come oggi. Oppure c’erano, ma occorreva spendere. Poi i Pavarui si spensero e mezzo congelato e felice recuperai papà. Mangiamo un boccone al volo in un bar e poi via verso Alleghe a prendere un’altra rata di gelo. Destinazione Stadio del Ghiaccio Alvise De Toni. Era ancora in restauro il palaghiaccio, ed ai lati era ancora aperto. Il termometro in Zunaia segnava un bel -14° ed era necessario imbacuccarsi per bene. Calzini da montagna al ginocchio, jeans pesanti, canottiera di lana e maglia tecnica, pile, giacca a vento e per terminare, sciarpa guanti e berretto. E pure gli scarponi da montagna. Così, in versione palombari, assistemmo ad un combattuto Alleghe vs Renon con pausa tè caldo a 240° fra secondo e terzo tempo. Appena prima di perdere la sensibilità degli arti inferiori arrivò il suono della sirena, L’Alleghe aveva vinto e noi, assiderati e felici, uscimmo dall’Alvise De Toni per riprendere la strada di casa. Il termometro della cabinovia stavolta segnava -16°, la chiusura centralizzata della Sporting era impazzita e le serrature erano congelate. E menomale che in tasca avevo la provvidenziale bottiglietta di apposito liquido deghiacciante. La cinquina, dopo un paio di rantoli, si mise svogliatamente in moto e partimmo con i vetri ghiacciati all’interno. Il lago era un blocco di ghiaccio e la strada brillava alla luce dei lampioni. Giunti ad Avoscan ci guardammo, ma nessuno dei due voleva pronunciare la fatidica frase: fui io a parlare per primo “…mah…quasi quasi me fermaria a Cence da calche banda a beve valk de caldo…”. A metà frase arrivò un perentorio “…fermete ala coprativa…”. E fu l’unica, sera in anni ed anni di partite, che ci fermammo causa freddo per riscaldarci. Ci rianimammo accanto al termosifone del bar di Via Roma e verso mezzanotte arrivarono “…chei dei Pavarui…” che erano saliti ad accendere i fuochi sulla Cima di Pape. Entarono allegri nel bar, anch’essi ibernati e felici. Stavolta li ringraziai di persona per il grande show che ci avevano donato mentre tentavano di riscaldarsi a suon di brulè. Dopo una mezz’oretta ripartimmo verso la piccola città con il riscaldamento della macchina che diede i primi cenni di vita solo nei pressi di La Stanga. Ritrovammo una Belluno immersa nel sonno e ricoperta da tanta neve. Ed anche se i gradi erano -10° pareva caldo. Andava così in quegli inverni divertenti. Inverni di neve, di ghiaccio e di hockey. E, per una sera all’anno, anche di Pavarui…Magiche Dolomiti!!
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