L’ANIMA DI GENNAIO
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E’ a Pavarui ormai spenti che sulla valle scende la grande quiete dell’inverno. Un lungo serpente di fari si muove al rallentatore lungo la 203 puntando la pianura. Auto cariche di sci e ricordi di vacanze trascorse sulla neve, uomini al volante e mogli assonnate di fianco; e sui sedili posteriori i bambini, che dai finestrini osservano per l’ultima volta le luminarie natalizie che all’indomani saranno spente. Un malinconico andare e poca voglia di parlare negli attimi in cui le feste iniziano a sfumare. Poche ore e poi l’anima di gennaio che cala sui paesi, entrando nelle case e nelle anime di chi resta a vivere la propria vita fra queste montagne agordine. È mese serio gennaio, austero e tagliente con il suo freddo che pressoché sempre accompagna giornate che passano lente. E poi le notti, ancora lunghe e silenziose; un tempo la “brenta su ‘n te stradon” taceva a gennaio. Congelata, pareva dormire come i larici spogli che abitano sui ripidi versanti del Pelsa. Oggi quella “brenta” non esiste più da tanti anni, l’anima di gennaio invece sì, e mi tiene compagnia durante le mie solitarie domeniche che trascorro sul monte. La si percepisce soprattutto a pomeriggio inoltrato, negli attimi che precedono l’arrivo del buio. C’è il gran silenzio dell’inverno poco prima che scenda la sera. Un silenzio potente, assoluto, quasi inquietante. Un ripido strappo in salita percorso con passo leggero e poi la sosta lì, dove si apre il profondo canalone delle Valscure che scende in picchiata fino a raggiungere la S.P. 346 del passo San Pellegrino. Vecchi larici cresciuti sul ripido sfidano la fisica insieme a qualche camoscio che agile sale dritto per dritto quel baratro pressoché verticale. Che animale straordinario il camoscio; quanto invidio la sua potenza, l’equilibrio e la grazia che sfoggia quando è in azione su questi terreni impossibili. Spesso all’imbrunire “sente sfrazà dù par sot”, ma non sempre riesco a vederlo lo straordinario alpinista a quattro zampe e le corna a uncino. Come di consueto mi fermo sull’orlo dell’orrido ad ammirare la Val del Biois; a gennaio, poco prima che arrivi il buio, questa visione regala sensazioni di vero e affilato inverno. È freddo severo laggiù, e quasi notte. Fumano i camini delle case del Mas e il cielo grigio regala la giusta malinconia della domenica sera. Spesso penso alle persone al caldo “apede fornel”, ai bambini che giocano davanti alla TV, alle mamme che pensano a cosa preparare per cena. Vedo le finestre illuminate e penso a me, al mio consueto e solitario vagabondare “su sti troi fora sui or” in compagnia della sola anima di gennaio; che vita lassù, che momenti intensi vissuti in quel freddo e duro silenzio. Il gelo inizia a mordere e insieme alla sera scende la dolce malinconia del mio partire d’inverno. Poi attraverso le chiazze di neve dura come il marmo e quando imbocco la strada forestale è ormai buio. Ho la pila frontale nello zaino, ma non la uso mai; scendo in compagnia dell’oscurità del mese principe della stagione dei silenzi, tanto lassù conosco il terreno a memoria. E nel buio quel silenzio d’inverno è ancora più silenzio e a Colaz brilla la Stella del Pelsa. Poi, di lì a poco, è nuovamente Strada Madre e, tre quarti d’ora più tardi, a brillare saranno le luci della piccola città.
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