UN CANE È PER SEMPRE
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Eri approdato a casa nostra nell’autunno del 1986, portandoti in dote un guinzaglio rosso e un tappetino azzurro. Nove chili di bastardino, un incrocio di razze che mandava in difficoltà perfino il veterinario. Un cane nero marrone e bianco, con tanto di sopracciglia, zampe anteriori valghe e un abbaiare possente, simile a quello di un pastore tedesco. Ti avevano chiamato Alì, e ti conoscevamo perché abitavi cinque piani sopra di noi. Poi, quell’autunno, un semplice favore ai proprietari; il classico “lo ospitiamo noi per qualche giorno” che poi diventò “per sempre”. Un “qualche giorno” durato undici anni. Eravamo quasi coetanei, io nove anni, tu due o tre di meno; eri riuscito ad ambientarti in fretta in casa, abbandonando pressoché subito il tappetino azzurro e prendendo possesso del ben più comodo divano verde presente in cucina. Siamo diventati subito amici ed il mio primo girovagare di sera per il quartiere è stato in tua compagnia; caldo o freddo, sereno o pioggia oppure neve, noi uscivamo alle otto precise. Ed eri furbo, perché nelle serate di bel tempo la tiravi lunga prima di fare i tuoi bisogni; se invece pioveva ti sbrigavi in fretta e poi mi tiravi verso casa perché non gradivi la pioggia. Poi però ti divertivi un mondo quando ti asciugavo col phon, e mi divertivo pure io nel vederti felice con la pancia all’aria. Eri la mia sveglia del mattino e ti mettevi di vedetta sul terrazzo aspettando il mio ritorno da scuola. E poi, a pranzo, ti appollaiavi sotto il tavolo sdraiandoti alternativamente sui piedi di tutti i quattro commensali, in perfetto regime di “par condicio”. Eri cane saggio e serio, ed il “qua la zampa” a comando era una sola volta al giorno; alla seconda richiesta era sguardo da “non ho voglia di essere preso in giro”. Serietà che puntualmente perdevi quando qualcuno nominava “Ophelia”, ovvero il nome della barboncina tua eterna fidanzata. Spalancavi gli occhi e ti prendeva un’agitazione pari a quella che provavi al sentir pronunciare la parola “guinzaglio”, che era preludio ad una bella passeggiata. Eri pure un amante delle autovetture, probabilmente perché avevi imparato che “viaggio in macchina uguale si va a Cencenighe, dove sarò trattato come un re!!”. Ed infatti, sotto al Pelsa, eri veramente trattato come un monarca; la mascotte del vicinato, coccolato e vezzeggiato da tutti. E poi le nostre sere d’autunno, quando era la campana grande ad annunciare la passeggiata serale. C’era sempre vento e spesso la “brosa su ‘n sagrà”, e il nostro giro era “inte par Vila” o “dù fin al parco”. Poi tornavamo infreddoliti e via insieme sul divano a guardare la TV. E poi le notti, quando ti sentivo muovere, ascoltando il caratteristico ticchettio delle tue unghie sul pavimento di larice. Un cane robusto, mai un acciacco nonostante l’età che iniziava ad essere avanzata. Io crescevo e tu sembravi sempre uguale, con il pelo nero e ispido sulla schiena e quello invece morbido e liscio sulla testa. Passavano gli anni e pareva che la nostra amicizia potesse durare per sempre; ed invece il peso dell’età si fece vivo una sera in cui eravamo in passeggiata lungo via Feltre. C’è ancora il muretto dove ti divertivi a salire con un balzo, ma quella sera, dopo due tentativi falliti, hai rinunciato guardandomi poi con due occhi increduli e un po’ tristi. Poi arrivò l’autunno del 1996 ed eri sempre più stanco. Sì, uscivamo ancora a camminare la sera, ti piaceva sempre andare in giro in macchina ma, giorno dopo giorno, l’età diventava un peso sempre più pesante da portare. Quel mattino del giorno di San Valentino ti ho accarezzato come facevo sempre prima di uscire di casa. Eri nella cesta di vimini, quella con la coperta imbottita verde; sveglio, seguivi con gli occhi il mio prepararmi per andare a lavorare. Ti ho accarezzato la testa e tu hai mosso un po’ la coda; poi ho spento la luce e sono uscito. Quella carezza è stata l’ultima, nel pomeriggio, quando sono rientrato, non c’eri più. Il giorno della festa degli innamorati terminò il lungo percorso di vita che ci ha visti camminare insieme per oltre dieci anni. Ero bambino quando sei arrivato ed ero uomo quando te ne sei andato. Da quel giorno di metà febbraio la casa fu più vuota ma, nel mio cuore e nei miei ricordi sei sempre presente; perché un cane è per sempre.
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