SUL COL DI LANA
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“…eravamo in pochi, e parlavamo piano. Guardavamo le rocce sconvolte dalla grande mina italiana e i fiori che ornano quelle pietre che sono tombe. Ottomila Anime sono rimaste lassù, ad un passo dalle nuvole…”
C’era un bel sole quel primo sabato di luglio. I prati in fiore regalavano inebrianti profumi e colori lassù dove c’era stata la guerra; ed io stavo camminando in un paradiso che per due anni era stato crudele inferno. È montagna diversa il Col di Lana, dalla cui cima si può scorgere all’orizzonte la Tofana di Rozes con il suo Castelletto mutilato dall’altra potente mina italiana; e poi il Col dei Bos ed il Lagazuoi con il Sass de Stria di fronte, che al mutare della luce appare e scompare. L’occhio attento riesce a scorgere pure il forte di Valparola e, innevate e lontanissime cime a me sconosciute. È montagna che è sacrario, è cimitero di gioventù che pretende silenzio e rispetto. Mentre un leggero vento d’estate accarezzava la Croce di ferro, pensavo che quassù, quella grande follia chiamata guerra, era riuscita persino a modificare la fisionomia delle montagne. Ne erano testimoni la cima mozzata del Col di Lana e la cresta ferita del Sief; e poi ancora la parete del Lagazuoi squarciata dall’esplosivo a raccontare il terrificante fragore delle mine. La Grande Guerra l’ho sempre immaginata in bianco e nero, perché così è rappresentata nei filmati che talvolta vengono proposti in TV. Immagini rare e preziose di uomini in uniforme che si muovevano a scatti e l’unico colore reale è quello della neve perché la neve è bianca. Il resto è bianco e nero severo che rende ancor più drammatico ciò che era spaventoso. Eppure, quelle anime, nella realtà questo mondo dolomitico lo vedevano a colori, esattamente come accadeva a me mentre passeggiavo sulla cima. I loro occhi potevano ammirare le rocce, che all’alba ed al tramonto si tingono di rosa ed il candore abbagliante della neve del ghiacciaio della Marmolada. E poi il viola dei rododendri ed il verde dell’erba del versante che scende ripido verso Livinallongo. Chissà se avevano tempo e voglia di guardare tutto ciò mentre fischiavano le pallottole sparate dai Mannlicher e dai ’91; mentre tentavano di rimanere al mondo. Fortunatamente oggi lassù c’è il silenzio: non esplodono più le granate e non fischiano gli Shrapnels. Non si ode il terrifico fragore delle mine; quel sabato di luglio c’erano soltanto la grande pace della montagna, pigre nuvole che passeggiavano nel cielo d’estate e il suono delle campane che a fondovalle annunciavano il mezzogiorno. E pareva impossibile che tutto ciò potesse essere accaduto poco più di un secolo fa.
Col di Lana 2462 m. s.l.m
3 luglio 2021