UNA SERA CON BARNABO
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Un sole ormai stanco accarezzava la cima del Pizzocco e Springsteen cantava Promised Land quando sono transitato al Mas in quel tardo pomeriggio d’inizio marzo. Poi due lunghe curve e il cane a sei zampe sull’insegna dell’area di servizio sullo sfondo; ricordi di profumo forte di benzina super e di quei “vintimila” che allora erano soldi; dello scatto del tappo cromato della 127 color del cielo e del grintoso prima/seconda immettendosi sull’allora statale. “…atu vist che temp immusonà…” mi ha detto la signora del distributore mentre facevo gasolio; “…utu far che, alè marzo…”, ho risposto. A Peron soffiava un vento da sud carico di primavera mescolata all’inverno; qualche nuvola grigia che pareva chiamare pioggia e polvere che si alzava dall’asfalto. Peron è terra di frontiera, è il punto preciso dove l’anima della Regionale Agordina inizia a svelarsi. Da Belluno a Mas è preambolo di ciò che sarà, da Peron ad Agordo e oltre è storia che si intreccia con la mia storia. A Candaten ho aperto un po’ il finestrino per ascoltare il respiro della 203; ora Springsteen cantava “The river” e l’Agner faceva la sua comparsa appena superato il curvone di La Muda. Poi l’inverno che ancora avvolgeva le Miniere; Agordo e Taibon, i boschi ancora grigi sotto il Framont e le lingue di neve sui pendii alla base delle Cime d’Auta che si mostravano severe all’orizzonte. A Cencenighe era ancora vento da sud e luce piatta di una primavera che lassù era ancora stagione dei silenzi. E la campana batteva la mezza ed il Biois raccontava la sua storia perpetua; c’era il tutto di sempre ad aspettarmi, il tutto più prezioso. Un paio di ceste di legna presa dalla “legnera”, la cena mentre la “pendola” suonava le sette e la stufa bruciava “legne de fagher”; il telegiornale locale e poi la TV spenta, “la cariega vesin la fornela” e una birra buona; e chissà che cosa avrebbe fatto Barnabo fra qualche pagina; nel frattempo viveva i suoi silenzi sui costoni delle sue montagne. Vedeva scorrere la propria vita in quell’atmosfera rarefatta d’alta quota, pregna di nuvole che risalivano lungo i ghiaioni e che poi andavano ad accarezzare le alte pareti di roccia. Barnabo che viveva il tempo lento della montagna mentre la stufa scaldava con sempre più vigore. Aldilà dei vetri il canto del Biois, il battere delle ore della campana e l’inverno ancora tenace; in cucina, invece, la “fornela” ormai rovente e Barnabo che non aveva sparato, che aveva avuto paura. C’erano la sua e la mia montagna in quei momenti d’inizio marzo; sulla sua montagna, fra i massi poggiati sui ghiaioni, era risuonato lo sparo che aveva ferito Berton. Fra le mie montagne, invece, il silenzio era rotto ogni mezz’ora dai rintocchi della campana. Poi il fuoco che si trasforma in “bronze” ed è l’ora dell’ultimo carico prima di buttarsi a letto; ancora qualche minuto, giusto il tempo di accompagnare Barnabo che ha preso la strada che lo condurrà in pianura. Era trascorso lentamente il tempo della notte vissuto in quell’imperfetto silenzio; l’orologio del campanile batteva regolare le ore e le mezze ore e il Biois raccontava sottovoce le storie della sua valle. Poi lo scricchiolare metallico della stufa, il fuoco che pian piano andava a morire e tutte le altre cose delle notti d’inizio primavera. A tratti scendeva una neve leggera e il vento muoveva leggermente gli scuri mentre sul paese ritornava l’inverno. Alle sette i settantanove rintocchi della Conciliare ad annunciare la nascita del nuovo giorno. Era terminato quel tempo desiderato, cercato e tante volte sognato; il tempo di quelle notti sospese fra sogni e realtà, il tempo delle stelle che brillavano “sora la mè val”…Magiche Dolomiti!!
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