LA QUARTA CAMPANA
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A Cencenighe la quarta campana suona al mattino, prima che il sole scavalchi la cima del Pelsa. È timbro argentino eppur mesto quello della “Dolorosa”; è un tempo lento quello scandito dalla “campana da Mort”, è un Si bemolle serio, pregno di malinconia. Tre suonate di un minuto ciascuna se il defunto è un uomo, due, invece, se a lasciare la vita terrena è stata una donna; chissà il perché di questa differenza. Sfumano i rintocchi e poi riprendono, ed ogni rintocco è un pensiero, è un rammentare storie sentite narrare; quelle “del preve co l’oio e l’ombrela” e i due chierichetti che lo accompagnavano lungo il sagrato reggendo i ceri. E di lì a poco la “Dolorosa” avrebbe annunciato il salire in cielo di un’altra anima, il cui corpo avrebbe riposato per sempre aldilà del Cordevole, nel cimitero che guarda il paese, situato lì dove nasce il Pelsa. Rintocchi che accompagnano pensieri e talvolta ricordi, storie sentite raccontare e pure vissute; di quando, poco tempo dopo “el sonà da Mort”, era il tempo “de dì a segnà el Mort”. E così era tintinnare di zinco e spruzzi di Acqua Santa su quei corpi adagiati sui catafalchi nelle “stue”; era ultimo saluto prima di partire per l’ultimo viaggio accompagnati dal suono della Patronale, la seconda campana che un tempo suonava alle sei e un quarto della sera, annunciando quella Messa che oggi viene celebrata soltanto il sabato. Un Sol, quello della Patronale, che è dentro ai miei ricordi d’autunno insieme alla “brosa” e al vento freddo che scendeva dalla Val del Biois. È suono, quello della quarta campana, che sempre sorprende; così diverso da quello potente della Conciliare che apre e chiude le giornate e che annuncia il mezzogiorno. Una nota di Fa, quella della campana grande, che è suono familiare che l’abitudine quasi riesce a far ignorare nonostante la potenza dei suoi settantanove rintocchi. Il suono delle campane, in fondo, è un po’ la voce di ogni paese. Esse annunciano festività e cerimonie, momenti solenni e scandiscono le ore di ogni singolo giorno. Suonano a distesa per i matrimoni e a martello in caso di pericolo per la popolazione. Aveva solamente un anno la campana grande quando, a metà pomeriggio di quel drammatico 4 novembre del ’66, suonò a martello. La nota di Fa annunciò che il pericolo, da quel momento in poi, era divenuto cruda realtà; poi fu disastro. In tempo di pace, quel battere ritornò ad essere il rassicurante scandire il tempo di ogni giornata, ritornò ad essere abitudine quotidiana. Al suono della Dolorosa, invece, non ci si abitua mai; è Si bemolle che sa entrare nel cuore e intristire l’anima, è annuncio di un nuovo vivere eterno accompagnato dal perpetuo canto del Cordevole. Per tutti, un giorno, si spera il più tardi possibile, suonerà la quarta campana; qualcuno “dirà su ‘n orazion” per la nostra anima e verserà qualche lacrima, poi diverremo ricordo e forse nostalgia. “…polver se era e polver se tornarà…” diceva con serena rassegnazione mia nonna morta alla fine di un marzo ventoso. Ma per lei, a San Tomaso, non suonò nessuna campana perché “l’era de Vender Sant”.
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