IL MONTE
AUDIO
Aveva imparato ad attendere le stagioni, con la pazienza che la montagna gli aveva insegnato. Le aspettava sulla cima del monte che fungeva da spartiacque fra le due valli. Era da lassù, da quel pulpito dove lo sguardo riusciva a raggiungere il paese dov’era nato, che poteva assistere alla nascita di un nuovo autunno dopo aver salutato un’altra estate. Sul monte c’erano silenzi e ricordi, custoditi da quel bosco che un tempo era prato falciato da chi gli aveva lasciato in eredità quel luogo di pace e sacrifici. Spesso guardava gli abeti che avevano all’incirca la sua stessa età, e pensava che erano cresciuti insieme a lui mentre gli avi invecchiavano; poi i vecchi si erano congedati dal mondo ed erano andati a riposare per sempre nel camposanto che guarda la parete nord del Civetta e sul monte era calato un oblio della durata di circa tre lustri. Fino a quel gelido sabato di un dicembre senza neve, in cui il destino fece sì che quel luogo non rappresentasse più solamente un passato remoto, ma anche un futuro prossimo. Viveva di silenzi e pensieri quando camminava sull’orlo del grande salto, ed erano in fondo i suoi momenti migliori. D’estate, quando prendeva il sole ascoltando il brusio delle auto dei turisti che viaggiavano lente sulla regionale, e poi d’inverno, quando si faceva accarezzare dalla prima neve di dicembre. Ma fra tutti i dodici mesi era ottobre quello che amava in modo assoluto. Il mese del vino in collina, dei colori in montagna, del profumo di funghi nei boschi e del bramito potente dei cervi, era quello che creava la simbiosi perfetta fra lui e la sua terra. Certe mattine, quando l’alba era nata da un po’ ma con il sole che ancora non si era levato sopra la valle, saliva sul monte e si fermava a pochi centimetri dal culmine di quella immensa prua protesa sopra il paese. Percepiva sotto di lui il vuoto, lo strapiombo creato dalla frana scesa con gran fragore ottant’anni prima; una ferita ancora aperta, e le fessure sul terreno presenti da quelle parti, erano ulteriore testimonianza di una storia che lo aveva sempre affascinato. Da quel punto guardava il paese in basso, tendeva l’orecchio per ascoltare lo scorrere dell’acqua dei due torrenti e i rintocchi della campana che scandiva quel tempo lento d’autunno. Ammirava le nuvole, che salivano pigramente lungo i versanti delle montagne fino a dissolversi in quel cielo blu carico. Attendeva in silenzio il sole che di lì a poco sarebbe spuntato sopra la cima del monte alla sua sinistra. Da quel momento in poi sarebbe stato tripudio di colori, di vita che pareva risvegliarsi a fondovalle, di campane a festa che alle dieci annunciavano la Messa. Ottobre regalava cieli limpidi, tramonti sempre più precoci e qualche volta giornate uggiose, di pioggia leggera e silenzi preziosi. In quel mese c’era tutto ciò che desiderava vivere, compresa la prima brina, quella che ghiacciava le foglie ormai cadute dei faggi che crepitavano ad ogni passo mentre saliva lungo il sentiero. Poi anche il mese principe dell’autunno invecchiava, e la neve sulle cime chiamava il mese triste che iniziava con la ricorrenza dei Morti. E lui sarebbe salito ancora lassù, ad attendere il tempo dei larici ormai stanchi e talvolta delle “acque grande” dei torrenti. Avrebbe salutato l’entrare silenzioso dell’inverno nella valle e visto i camini fumare all’alba. Poi, a notte quasi fatta, sarebbe sceso nel mondo di sotto, dove i fari di poche auto avrebbero illuminato l’asfalto ghiacciato della regionale. E alla sera, ascoltando il crepitare del fuoco nella stufa, avrebbe immaginato l’indomani quando sarebbe ritornato lassù, a vivere i suoi attimi migliori in compagnia della prima neve.
******