LA STRADA
AUDIO
Faceva freddo quel pomeriggio quando mi sono incamminato lungo un tratto dell’originale Strada Madre. Erano all’incirca quindici anni che non passavo da quelle parti, precisamente dal maggio del 2007 quando venne inaugurata la galleria di Listolade. Ero curioso di ritornare su quel nastro d’asfalto dove ho sfrecciato per un paio di anni con la Panda 750 CL bianca e poi, per nove anni, con la Cinquecento Sporting blu che per qualcuno era viola. Andavo veloce allora, in quella grigia domenica di febbraio, invece, andavo a passo d’uomo nel vero senso della parola. La ricordavo più tortuosa la “strada bassa”, quella che corre a lato del Cordevole e che unisce Cencenighe a Listolade. Camminavo cercando di carpire lo spirito di questa strada dismessa ma non abbandonata; ho sempre pensato che ogni strada abbia un’anima, e questa, secondo me, ha un’anima offesa e giustamente arrabbiata. Spazzata via in diversi punti durante l’alluvione del 4 novembre del ’66 dalla furia del Cordevole, poi ripristinata e utilizzata ancora per qualche anno e successivamente sostituita dalla nuova “strada alta”; che ebbe vita breve e travagliata. La vera ex Strada Statale 203 Agordina che corre in riva al “Cordeol” non è stata la strada della mia infanzia; a quei tempi giaceva abbandonata nel degrado più totale. La guardavo dall’alto quando si transitava sotto gli strapiombi del Pelsa, e immaginavo dormisse. Chissà come sarebbe stato passare di là, mi chiedevo; ebbi la risposta a diciotto anni, appena presa la patente. La “strada bassa” venne richiamata di corsa in servizio e lei rispose subito “presente”, ma secondo me di malavoglia. Sembrava ghignare, allora, quel tratto di storica Strada Madre; “mi avevate abbandonato, bravi, però adesso vi servo ancora”. E forse rideva con perfidia pensando alla moderna strada che scorreva sopra i possenti muraglioni di calcestruzzo; “di sopra” era cadere di massi e scendere di “levine”, e poco più di vent’anni durò la vita della “strada dimenticata”. C’era una luce stanca d’inverno e ombre che si allungavano fra le Pale e il Pelsa, e mentre camminavo ricordavo di quando sfrecciavo a razzo a fianco del Cordevole, e un paio di curve erano da terza marcia. Giunto a Listolade ho ritrovato il sole ed ho invertito il mio camminare; ripercorrevo i miei passi a ritroso ammirando la sud della Marmolada sullo sfondo e gli interessanti muri a secco costruiti con perizia chissà quanti anni fa e ancora in perfette condizioni. C’era silenzio, le ombre andavano allungandosi e l’asfalto posato di fresco iniziava a ghiacciare lì dove i raggi del sole, d’inverno, faticano ad arrivare. Camminavo e talvolta guardavo verso l’alto, esplorando con lo sguardo le verticali pareti di roccia che a Mezcanal sembrano quasi volersi toccare. Da una parte il bosco che mostra le cicatrici causate dal grande incendio che si innescò nei pressi del “levinal” in quel caldo pomeriggio del 24 ottobre del 2018; in basso le ferite ancora visibili causate dal Cordevole appena cinque giorni più tardi. Nel versante opposto, invece, in alto a qualche decina di metri da me, il fantasma d’asfalto della strada dimenticata, quella con la galleria paramassi e la finestra della galleria dell’ENEL che catturava la mia attenzione di bambino. Ormai il pomeriggio si stava per spegnere, e quando sono arrivato a Morbiach, dove la valle si allarga e si ritrova il brusio delle auto che corrono lungo la regionale, ho ritrovato la macchina parcheggiata vicino al caratteristico tabellone in legno anni ’80, quello con la scritta Benvenuti a Cencenighe oramai sbiadita. I lampioni erano accesi e sembravano avvisarmi che era il tempo di ritornare nella piccola città; era tempo di andare, di salutare la vecchia strada dormiente e di inoltrarmi in un’altra lunga serata di un febbraio ancora lungo da far passare.
******