CIAO NONO
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L’autunno del 1995 era stata la stagione perfetta, con il giusto fresco al mattino e un tepore gradevole durante il giorno. Un tempo bello da vivere, un digradare lento verso un inverno che sarebbe stato abbondante di neve. Ed è stato proprio allora, alla metà di quella stupenda stagione dei colori, che hai lasciato questo mondo, che allora era migliore, per andare a riposare per sempre “sot la gesia” di fronte al Civetta. Era un ottobre splendido, con i “lares” e i “fagher” che sfoggiavano l’abito più bello e la Strada Madre che aveva i suoi problemi come talvolta accade; c’era un grosso incendio in corso fra Peron e Candaten e quindi strada chiusa e deviazione per la Val del Mis. La mamma mi svegliò in piena notte per darmi la triste notizia ed al mattino presto ero all’obitorio dell’ospedale San Martino di Belluno. L’inevitabile dolore che i diciotto anni appena compiuti riescono a far scivolare via abbastanza in fretta mescolato alla malinconica serenità per le “strusie” finite. Papà mi disse “…te firme tì le carte del riconoscimento…”. Firmai le carte, aiutai l’uomo delle pompe funebri a chiudere le cassa e poi partimmo destinazione San Tomaso. Il carro funebre davanti e la Tipo blu ad inseguire lungo il Canal del Mis mentre i Canadair pescavano acqua da versare sulle fiamme che ardevano aldilà dei Monti del Sole. Giunti in piazza a Celat ecco il primo momento di commozione: una delegazione di infermiere della casa di riposo dove avevi soggiornato durante l’ultimo anno erano presenti. Si erano sobbarcate un centinaio di chilometri per esserci, e fu un gesto veramente commovente. E poi era presente il picchetto d’onore degli Alpini con tanto di labaro. Proprio per te, che ogni tanto dicevi “…sete ani e trei mes sot le armi…”, e poi giù una bestemmia di quelle potenti. L’Albania, la Grecia e poi gli altri fronti: e quella maledetta guerra ti aveva talmente schifato da farti gettare il cappello con la piuma “…dù par la val in mez ai lares…”. Avevi tenuto solo la giacca della divisa perché era buona per andare a far legna; però l’abbonamento alla rivista “L’Alpino” era cosa sacra. Durante il funerale la chiesa al suo interno era illuminata da una splendida luce autunnale e fuori il cielo era perfetto: nemmeno una nuvola era presente sopra la Val Cordevole mentre ti portavamo a spalle “dù par i scalin del zimitero”. Avresti vissuto il tuo Eterno Riposo di fianco alla nonna nel “condominio” che avevi contribuito a costruire anche tu molti anni prima: ed era stato uno dei tuoi mille lavori, perché quando c’era da lavorare c’eri sempre e ovunque. Poi, dopo la benedizione del feretro, qualcuno lasciò subito il cimitero, altri invece si unirono a noi per fare tappa al bar “dela Sofi”: era usanza così, e in fondo era un bel modo per salutare ringraziare e ricordare. Poi, poco prima del tramonto, partimmo alla volta di Belluno e fu ancora strada del Mis. Andavamo piano lungo il nastro d’asfalto che costeggia il lago e nel mentre guardavamo i Canadair che, con ardite manovre al limite, imbarcavano l’acqua necessaria allo spegnimento dell’incendio. Poi, una volta a casa, fu un ricordare sereno. Andò così in quel limpido giorno di quasi fine ottobre di ventisette anni fa. “…ciao Nono, m’hai proà a porta ‘n avant la tò memoria. Grazie de tut chel che te ne ha lasà…”.
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