IL MESE TRISTE
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“Novembre ti prende per mano e ti accompagna nell’inverno.”
Il mese triste si presenta in modo piuttosto severo, con il ritorno dell’ora solare che accorcia in modo violento i pomeriggi e subito dopo con la Commemorazione dei Defunti; e sono lacrime e ricordi, fiori e lumini che adornano le tombe nei camposanti talvolta imbiancati dalle prime brinate. E poi subito quel quattro novembre, un giorno per celebrare una eroica vittoria di guerra e per ricordare una catastrofica alluvione. Era al tempo dell’inizio del mese mesto che iniziavano a chiudersi i cantieri e gli emigranti stagionali prendevano in mano la loro valigia per intraprendere il viaggio che li avrebbe riportati a casa. Le famiglie tornavano a riunirsi mentre i larici viravano verso l’arancione e sulle cime era già comparsa la prima neve. È tempo austero quello di novembre, e se le nuvole nascondono le montagne talvolta sarà pioggia potente, buona per le “acque grande”, quelle da avere paura sul serio. Poi tutto solitamente si placa al tempo dell’ “Estate di San Martino”, quando a Belluno si festeggia il Patrono e nelle vie e nelle piazze si sparge il profumo delle castagne arrostite. È quasi sempre tempo mite e cielo malinconico ad accompagnare la grande sagra che si tiene nel capoluogo la domenica successiva all’undici di novembre, con i flauti peruviani che suonano stanchi in via Loreto e con gli aromi pesanti delle frittelle intrise d’olio a profumare il centro storico della piccola città. Poi alla sera, quando le bancarelle sono ripartite per altri lidi e le piazze sono state ripulite da cartacce e bicchieri di plastica, ecco che il mese triste riprende definitivamente possesso della città; d’ora in poi, fino alle feste di Natale, sarà un tempo lento da far passare in compagnia di umide nebbie che in certe mattine si alzano dal Piave. Nelle valli montane, invece, è quasi inverno; i camini fumano già dall’alba, alberghi e pizzerie sono chiusi e sulle piste da sci, i cannoni attendono quel sottozero buono per sparare la neve artificiale. Un tempo, questi erano i giorni in cui i boscaioli attendevano la luna calante per iniziare i tagli nei boschi; il ghiaccio e la neve li avrebbero poi aiutati nel trasporto dei tronchi lungo i ripidi “menador”. Ed erano le ultime fatiche prima del meritato riposo invernale. Appena superata la metà del mese austero, in montagna l’autunno inizia il suo congedo. I larici ingrigiscono e si addormentano, i faggi invece dormono già da un paio di settimane; soltanto gli abeti rimangono svegli a vigilare il bosco e ad aspettare la prima neve che ormai non scenderà soltanto sulle cime, ma anche a fondovalle. Il mese triste nasce nel mezzo dell’autunno, al tempo in cui i colori dei boschi si mostrano al massimo del loro splendore, e termina nell’inverno metereologico appena iniziato, regalando un paesaggio pressoché in bianco e grigio; tutto ormai dorme quando a Cencenighe si tiene la Fiera di Sant’Andrea; tanta era la gente che, fino a qualche decennio fa, si recava al paese che si trova all’incrocio di strade acque e venti, per fare festa e acquistare animali da macello o da lavoro. Ed era anche l’occasione per quegli emigranti rientrati in patria da poche settimane, di ritrovarsi a fare comunità all’ombra del Pelsa. Si congeda così novembre al tempo della fiera di Sant’Andrea, a volte lasciando un’eredità di neve sui tetti e sulle cime e facendo calare il sipario sull’autunno che al trentesimo giorno del penultimo mese, è ormai solamente ricordo.
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