4 NOVEMBRE 2022
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È venerdì 4 novembre e il maltempo è arrivato come previsto poco prima dell’alba, con la prima luce del giorno che presenta un tempo uggioso e pioggia battente; il clima classico del mese triste mi ricorda immediatamente che questo è il giorno dell’anniversario della grande alluvione del 1966, che, coincidenza, accadde proprio di venerdì. Mentre guido lungo la strada del lavoro tento di immaginarla quella triste giornata di cinquantasei anni fa che io non ho vissuto; ho in testa un mix di pensieri, scorrono i racconti di mamma e papà che l’hanno vissuta in prima persona in agordino, e queste memorie sono accompagnate dalle immagini delle foto d’epoca in bianco e nero che narrano il grande disastro che colpì l’intera provincia e non solo. A metà mattina il cielo sopra Longarone si fa nero, fulmini si abbattono sulle montagne che salgono ripide dalla valle del Piave e potenti tuoni rimbombano nella vallata, riportando alla memoria il giorno della “mia” alluvione, ovvero quello della tempesta Vaia. Mentre piove a dirotto penso che l’alluvione del 1966 non ha un nome, per chi l’ha vissuta è semplicemente “l’aluvion”; un evento che, nonostante l’assenza di un nome proprio che la identifichi, rappresenta una sorta di anno zero per la generazione precedente alla mia. “Prima de l’aluvion, dopo de l’aluvion”, così la generazione dei miei genitori colloca nel tempo gli avvenimenti di quegli anni. All’ora di pranzo smette di piovere, si alza un forte vento che spazza le nubi e in breve ritorna il sereno; penso che fra poche ore sarò a Cencenighe, dove durante quel venerdì di cinquantasei anni fa si stava compiendo il disastro. Immagino quei momenti concitati, la piazza che si riempie di detriti, l’urlo del Biois e del Cordevole, la paura di chi c’era, e poi i rintocchi a martello della campana che allora annunciavano il pericolo imminente e che stanotte, invece, mi accompagneranno nel sonno. Arrivo in paese poco dopo le diciassette e trenta, e tutto è tranquillo. C’è un po’ di vento e pochissime auto transitano in piazza; anche il Biois è quieto nonostante la parecchia pioggia scesa durante la mattinata. Un venerdì 4 novembre decisamente diverso da quello del 1966, per fortuna; ci sono le stelle che brillano in cielo e il tempo della sera sembra trasformarsi in quello di una pacifica e serena notte d’inizio novembre. C’è una profonda quiete nell’aria e c’è la luna a tre quarti che passeggia in cielo; le montagne illuminate sembrano vive, respirando l’aria fredda di novembre sfoggiano il loro millenario silenzio che sa parlare alle anime. E poi, come accade improvvisamente questa sera, a volte si svegliano e la loro voce diventa reale; forse è proprio vero che nulla accade a caso, e così oggi 4 novembre, anniversario della grande alluvione del ’66, la frana dei Piegn all’ingresso di Cencenighe lato valle del Biois, decide di celebrare il triste anniversario a modo suo. Già durante la giornata erano scesi dei massi, ed ora che la campana ha battuto da poco le ventidue, un gran fragore di roccia nel buio. È schioccare violento di sassi che sbattono gli uni sugli altri che sempre inquieta, è rumore sordo di terra che scende; è quel tonfo di alcuni massi che terminano il loro rotolare nel Biois. La montagna ha parlato, ha ricordato quel giorno nefasto in cui, proprio da queste parti, il torrente ha deviato andando così a sventrare il vecchio cimitero di Cencenighe. Fu un gesto vile quello del Biois, una macchia nella sua storia difficile da perdonare; oppure chissà, forse non voleva compiere quello scempio proprio due giorni dopo la Commemorazione dei Morti. Forse fu costretto da qualcosa più grande di lui, forse la montagna, stasera vuole raccontarmi tutto ciò. Poi, dopo quei minuti di fragore, tutto si placa, e rimane il canto quieto del Biois e il muovere degli scuri mossi dal vento a farmi compagnia in questa fresca notte di inizio novembre.
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